BELLUNO Perarolo di Cadore, Pieve d’Alpago, Pieve di Cadore, Ponte nelle Alpi, Puos d‘Alpago e Quero nell’ottava tappa del nostro “viaggio” (seguendo l’ordine alfabetico per le singole realtà) attraverso i comuni bellunesi, sulla scorta di quanto scritto (in pregevole sintesi) dallo scomparso collega giornalista Fiorello Zangrando (tra l’altro mio primo capo nella redazione bellunese de Il Gazzettino). L’occasione venne data da importanti lavori di sistemazione (luglio 1990) della Fontana di Piazza dei Martiri del capoluogo, inaugurati in concomitanza con la pubblicazione ad iniziativa dell’assessorato all’urbanistica del Comune, dell’ottantina di pagine cui venne dato il titolo di “I Comuni della Provincia di Belluno. Storia e simboli”. I simboli erano copia degli altrettanti lavori realizzati dallo scultore Massimo Facchin, che ora si possono vedere nella circonferenza interna della fontana stessa. La storia è stata stringatamente ripercorsa (e quindi proposta) da Zangrando, comune per comune, con la sottolineatura in premessa, senza voler far torto ad alcuno, che “A Belluno è toccato quasi duecento anni fa intraprendere il cammino per affermare un’altra entità amministrativa: la provincia, destinata a diventare storia e cultura e un po’ alla volta anche coscienza”. PERAROLO DI CADORE (fra l’altro paese natale di Fiorello Zangrando). “Il nome significa luogo ad un bivio da cui è bene fare uso di sassi apotropaici, ma Perarolo è il paese cadorino più recente, fatta eccezione per Corte. Sorge tra la fine del ‘300 e l’inizio del ‘400 quando il commercio del legname richiede un porto adeguato e gli alvei di Piave e Boite offrono la buona occasione. E’ nominato nel 1374 e nel 1518 si dà i Laudi (Caralte, di origine longobarda, li ha invece fin dal 1340). Ad Ansogne posseggono seghe i Vecellio pittori. Il paese si accresce con la costruzione sul Piave del ‘cidolo’ ponte attrezzato per raccogliere e distribuire la fluitazione del legname (cantato poi da Giosuè Carducci), che avviene alla metà dei Seicento. Incendi nel 1916 e nel 1943, alluvioni nel 1697, 1708, 1748, 1923, 1882, 1942 e 1966. Nell’Ottocento fioriscono le famiglie ricchissime, come gli Zuliani e i Lazzaris che ospitano nel 1881 e 1882 le vacanze di Margherita, regina d’Italia. Poi le mutate condizioni del commercio del legname provocano un silenzio sempre più profondo”. PIEVE D’ALPAGO. “Una tomba del terzo secolo avanti Cristo trovata a Plois documenterebbe la presenza a Pieve d’Alpago di popolazioni paleovenete. Una lapide prova la presenza dei romani. Sotto i longobardi Pieve è sede di una decania indipendente dalla sculdascia di Belluno. E’ al centro di un territorio omogeneo che acquista rilevanza autonoma quando diviene anche sede di un arcidiaconato. Come centro principale è ricordato nel diploma d’investitura della contea d’Alpago a Giacoma Bongaio. L’intero territorio nominato nel diploma di Berengario del 923 con cui si riconoscono i diritti del vescovo di Belluno Aimone, è affidato nel Trecento ad Endrighetto e da questi passa appunto alla vedova Giacoma. Viene poi gestito dal Consiglio dei nobili di Belluno. Un terremoto rovina il paese nel 1348, gravi danni provoca anche quello del 29 giugno 1873. Dopo la seconda guerra mondiale dà impulso alla Comunità montana. PIEVE DI CADORE. “Fin dall’antichità preromana il Monterico è luogo fortificato da militari provenienti dal Passo della Mauria. Il nome di tutta la ‘piccola patria’ è gallico e col significato ‘rocca della battaglia’ viene dal Monterico di Pieve, centro che dal medioevo è sede della Magnifica comunità. La maggior testimonianza dei romani è provata in particolare da una villa del secondo secolo dopo Cristo, che è anche corredata da un sistema di riscaldamento ad aria calda sotto il pavimento musivo. Il Cadore confluisce nel municipio di Julium Carnicum, l’odierna Zuglio, ed è ascritto alla tribù Claudia. Dalla Carnia, attorno al quinto secolo, giunge il Cristianesimo. Segno di sé lasciano i longobardi con le loro istituzioni… Con le Regole attorno al Mille per derivazione dal centro si popolano il Comelico e Ampezzo. I franchi confermano i compiti difensivi agli arimanni e collocano al centro del rinnovamento politico i centenari con i quali attorno al 1200 danno origine appunto ad un comune rurale federativo, la Magnifica comunità. Essa ottiene statuti dai da Camino nel 1235 e nel 1338 si dà proprie leggi che regolano sia i doveri pubblici che i rapporti privati….”. PONTE NELLE ALPI. “Il comune ha questo nome dal 1867. Fino al 1807 il territorio si dice pieve di Frusseda, fino al 1867 Capodiponte. Cospicui i ritrovamenti romani a Casan, Soccher, Canevoi. A Cugnan resti di insediamenti riferibili al 2000 avanti Cristo, a Canevoi una situla paleoveneta. Una porzione importante della storia locale s’identifica con quella del ponte, tramite tra le valli del Piave, l’Alpago e la Marca trevigiana. E’ documentato la prima volta il 27 aprile 1181. Per attraversarlo occorre pagare un pedaggio che viene riscosso da Belluno. Distrutto nel 1412 per impedire scorribande alle milizie veneziane provenienti da Fadalto, è incendiato nel 1484 e nel 1813, nel 1848 dai rivoltosi antiaustriaci, nel 1866 dagli occupanti stranieri, nel 1917 dagli italiani in ritirata. Il nodo ferroviario si costituisce con l’innesto della linea del Fadalto, inaugurata nel 1938. Nel 1967 a Polpet si comincia a costruire Nuova Erto per una parte dei sinistrati del Vajont”. PUOS D’ALPAGO. “Una presenza romana si potrebbe desumere da toponimi del tipo Puos da ‘puteus’, ‘Bibàn’ dal personale ‘Vibius’ o ‘Baebius’, e Sitràn da ‘Sirtius’. Ai tempi dei longobardi si fa risalire il castello di Bastia. Nel 1378 è sguarnito di soldati e di munizioni ad opera di Belluno, da cui dipende. Poi la sua custodia è affidata agli uomini dell’Alpago. Per Puos passa la strada principale della vallata, che da Polcenigo collega il Friuli e attraversa il Bosco del Cansiglio, Farra, Garna, Pieve, Tignès e Ponte delle Schiette. L’opera è decisa il 30 luglio 1339 dal sinodo dei vescovi convocato dal patriarca d’Aquileia Bertrando. Nel Settecento si stabilisce qui la facoltosa famiglia Gera proveniente dal Comelico, con casa e oratorio tra Bastia e La Secca, che vuol dire semplicemente ‘la sega’ per il legname. Fatto notevole della Resistenza è l’assalto alla gendarmeria tedesca, nel gennaio 1944. L’alluvione del 4 novembre 1966 produce gravi danni”. QUERO. “Origini romane documentate dal ritrovamento di tombe, suppellettili funebri, lucernette e un’epigrafe. Nelle carte medioevali il paese è indicato’Aquer’, che richiama acqua e canale. L’incolato stabile si fa risalire al Mille quando i trevigiani vi erigono un castello che nel 1196 svolge un importante ruolo contro i bellunesi le cui truppe, inviate dal vescovo Gerardo de Taccoli, lo prendono e lo fanno smantellare. Tornato in mani trevigiane nel 1373 è occupato dal duca d’Austria, a fianco del Carrarese contro Venezia. Essa manda Jacopo Cavalli che lo ripiglia. Ricostruito in luogo più adatto, dal 1376 è Castelnuovo. Nel 1511 è assalito dalle truppe imperiali di monsignor de la Palisse, proprio quello della verità fin troppo evidente. Lo contrasta il provveditore veneto Girolamo Miani che, fatto prigioniero, veste l’abito religioso, fonda la congregazione dei somaschi e diventa santo. Nella provincia di Belluno con la riforma napoleonica, Quero subisce devastazioni e lutti ad opera dei tedeschi, durante la Resistenza”.