di Renato Bona
Dopo diverse settimane si conclude qui il giro “Curiosando per la città di Belluno” che è poi il titolo del recente libro realizzato in proprio con la tipografia Sommavilla (marzo 2021), dall’amico Vincenzo Caputo, il quale si è avvalso della collaborazione dell’architetto Roberto Reolon, autore del servizio che di fatto chiude la pubblicazione: “I segni del passato”. Si parte dalla stringatissima storia di “Porta Dojona esterna sec. XVI” ricordando che: “L’attuale Porta Dojona, ingresso nord della città, fu costruita nel 1289 e ne fu artefice Vecello de Cusgis (Cusighe). Originariamente si chiamava Porta di Foro o di Mercato. Ricostruita nel 1553 su disegno di Nicolò Tagliapietra, fu dedicata al podestà veneto Francesco Diedo e in seguito al vescovo di Bellina – Asia minore – Giorgio Doglioni (1609). Con l’ultimazione dei lavori di copertura fu chiamata Porta Dojona. Davanti ad essa si trovava il profondo fossato (largo 13 passi) che fu interrato nel 1730 con l’eliminazione del ponte levatoio”. Nella parte alta il bassorilievo del leone di S. Marco con ai lati gli stemmi e le due statue (cariatidi). Il leone veneziano originale fu scalpellato dai giacobini nel 1797 e al suo posto venne inserito nel 1874 l’esemplare quattrocentesco che originariamente era sopra il primo arco scampato fortunatamente agli scalpellatori napoleonici. Una scritta sotto il leone riporta l’evento. Tocca al Teatro comunale (già Teatro Sociale), secolo XIX, nella Piazza Vittorio Emanuele II che, opera di Giuseppe Segusini, fu aperto al pubblico alla fine del 1835. Caputo spiega che i due leoni ai lati della gradinata, che rappresentano la musica e la prosa, furono scolpiti da Pietro Zandegiacomo (1806-1860) e restaurati nel 2000. Dello stesso artista due bassorilievi dell’atrio: Orfeo e Prometeo. Esternamente vi sono 9 busti, 5 in pietra gli altri in bronzo, di antichi Rettori della città, provenienti dal demolito Palazzo comunale. Ancora: l’attico è decorato da 4 statue marmoree del ‘700 acquistate dai bellunesi dagli eredi di Antonio Canova. Ci trasferiamo nella Piazza dei Martiri per dire del palazzo Cassa di Risparmio, ora Unicredit, del ventesimo secolo, di cui il “curioso” Caputo – detto che nei secoli CV-XVI la città si espande a nord della mura, nell’area libera del “Campedel” piccolo campo, prima spazio militare di difesa del Castello, ora piazza che nel tempo verrà definita da una cortina di edifici – ricorda che “Sull’edificio progettato nel 1939 dall’architetto Alberto Alpago Novello e costruito nel 1947-50 nello stesso luogo dove sorgeva il vecchio Manin la parte sommitale è coronata da un gruppo scultoreo di Salvatore Saponaro, le statue sembrano osservare la piazza sottostante. Sul frontale un altorilievo di due putti in pietra, opera dello stesso artista”. Non può mancare, restando nella stessa piazza, un richiamo alla Chiesa di San Rocco, secolo XVI, aperta al culto ne 1561 “per voto della città funestata dalla peste. Soppressa nel 1806 con decreto napoleonico, venne restaurata e ridata al culto annettendola all’orfanatrofio Sperti. La statua del Santo, in pietra, è in una nicchia al centro della facciata che domina il “Campedel” dove si tenevano anticamente fiere, mercati, parate. In precedenza la piazza si chiamava Piazza del Papa in onore di Gregorio XVI primo pontefice bellunese della storia (il secondo è stato Albino Luciani asceso al soglio di Pietro col nome di Giovanni Paolo I). Divenne Piazza dei Martiri dopo l’impiccagione di 3 partigiani il 17 marzo 1945 durante l’occupazione nazista. Qualche passo più in la e siamo nella via Carrera dove sorge il Palazzo Barcelloni Corte, del XVII secolo. Sulla facciata lo stemma in pietra della famiglia. Nel tempo fu sede di istituzioni locali dopo la vendita avvenuta nel 1929: Istituto nazionale fascista della previdenza sociale, Mostra permanente dell’artigianato bellunese, Esattoria consorziale della Cassa di risparmio. Ci spostiamo nella via Roma, sempre nel centro storico, dove al civico 15 c’è Palazzo Barpo del XIV secolo di cui Caputo propone la foto di un particolare del poggiolo in pietra della cinquecentesca costruzione. Nella successiva Piazza Santo Stefano ecco la Chiesa omonima. Del secolo XV. Sopra l’architrave in pietra, in origine appartenente alla chiese di Santa Maria dei Battuti del XIV secolo e qui inserito nel 1892, una nicchia racchiude uno splendido esempio di decorazione a rilievo; la composizione scultorea del portale comprende l’immagine della Madonna dei Battuti che protegge col proprio mantello i confratelli cappati. Altre immagini scolpite raffigurano sant’Antonio abate e San Gioatà con due figure simboliche ai lati del Padre Eterno. Ci avviano a conclusione dell’itinerario con il leone di San Marco, del secolo XX, nella stessa Piazza, su colonna, a margine del giardino antistante la chiesa, che fu donato dalla città di Trieste nel 1930. Nel ‘300 tutto lo spazio antistante la chiesa costituiva il cimitero della chiesetta della Madonna delle Grazie, preesistente all’attuale; il cimitero venne eliminato nel 1812 l’anno in cui si realizzò quello di Prade. Breve percorso in discesa ed eccoci a Borgo Pra, Piazza di San Lucano, per la Fontana del 1850: edificata al centro della piazza, ha come unica decorazione quattro grandi fiori scolpiti a bassorilievo. Ultimo spostamento quello con meta la via Feltre per la Chiesa della Beata Vergine del Buon Consiglio, secolo XX: esternamente all’edificio sacro, del 1920, due statue in pietra, di San Giovanni Battista e Sant’Antonio, probabilmente dello stesso periodo.