La revisione al ribasso della crescita ha messo drammaticamente in luce non solo il rallentamento in atto della nostra economia e la difficoltà di mantenere in ordine i nostri conti pubblici, ma anche un probabilissimo aumento della pressione fiscale che, secondo l’Ufficio studi della CGIA, nel 2019 rischia di sfiorare il 43 per cento.
“Nel dicembre scorso – afferma il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo – il Ministero dell’Economia aveva previsto una crescita dell’1 per cento del Pil che avrebbe contribuito a far salire di poco la pressione fiscale del 2019, esattamente al 42,3 per cento. Ora, con un Pil che quasi sicuramente supererà di poco lo zero, il peso fiscale è destinato ad aumentare in misura più consistente rispetto alle previsioni. In questo momento, tuttavia, è ancora prematuro stabilirne la portata: per avere maggiore contezza dovremo aspettare i dati della trimestrale di cassa. L’asticella, comunque, è destinata a salire ed è molto probabile che si attesterà appena sotto la soglia del 43 per cento”.
Nessuna nuova tassa
Sia chiaro: ciò non vuol dire che le famiglie e le imprese pagheranno più tasse. La pressione fiscale, infatti, è data dal rapporto tra le entrate fiscali e quelle contributive sul Pil. Se si abbassa sensibilmente il denominatore è quasi certo che il risultato del rapporto è destinato ad aumentare in maniera significativa.
“Con una pressione fiscale che negli ultimi decenni è salita costantemente senza che ciò abbia comportato un incremento dei servizi offerti a famiglie e aziende – segnala il segretario della CGIA Renato Mason – si sono sacrificati i consumi e gli investimenti. Inoltre, è diventato sempre più difficile fare impresa, creare lavoro e redistribuire ricchezza. Alle piccole e piccolissime imprese, in particolar modo, il calo dei consumi delle famiglie ha creato non pochi problemi finanziari, costringendo molte partite Iva a chiudere definitivamente l’attività”.
Attenzione al possibile rincaro delle commissioni bancarie
Gli unici soggetti economici che subiranno un deciso aumento del carico fiscale saranno le banche, le assicurazioni e le grandi imprese. Se per i primi due soggetti l’aggravio di imposta nel 2019 sarà pari a 1,8 miliardi di euro, per i secondi il maggior gettito peserà per 2,5 miliardi di euro.
“Non è da escludere – conclude Zabeo – che gli istituti di credito riversino sulla clientela i maggiori costi causati dall’inasprimento fiscale. Come ? Ritoccando all’insù le commissioni bancarie che, ricordo, incidono ormai per il 40 per cento circa dei ricavi netti delle banche. In buona sostanza, bisognerà fare molta attenzione affinché i costi dei conti correnti, i servizi bancomat/carte di credito, le operazioni di incasso/pagamento, la collocazione dei titoli e le gestioni patrimoniali non subiscano aumenti ingiustificati”.
Con meno gettito rischiamo una manovra correttiva
Ad aggravare la situazione va segnalato anche il probabile mancato gettito di alcune voci introdotte nell’ultima legge di Bilancio che ci allontanerebbe dagli obbiettivi di deficit e del debito presi con Bruxelles. Uno scostamento che potrebbe indurre l’Unione europea a imporci una manovra correttiva entro la fine dell’estate. Ricordiamo, infatti, che a seguito della sentenza della Corte Costituzionale, rischiano di mancare all’appello 4 miliardi di gettito dalla rottamazione delle cartelle esattoriali. Dalla privatizzazione di beni dello Stato le casse pubbliche dovrebbero incassare 18 miliardi di euro. Un obbiettivo che a oggi sembra sovrastimato. Senza contare che con l’introduzione della fatturazione elettronica il fisco punta a incassare un gettito aggiuntivo di 2 miliardi. Un importo che ai più sembra difficilmente raggiungibile.
Negli ultimi 40 anni la pressione fiscale è aumentata di 11 punti. Boom di tasse con il governo Monti
L’Ufficio studi della CGIA, infine, ha ricostruito la serie storica della pressione fiscale in Italia. Negli ultimi 40 anni la pressione fiscale in Italia è salita di quasi 11 punti percentuali. Se nel 1980 era al 31,4 per cento, quest’anno dovrebbe attestarsi almeno al 42,3 per cento. In questo arco temporale, la punta massima è stata raggiunta nel 2012-2013, quando in entrambi gli anni il prelievo ha raggiunto la soglia del 43,6 per cento (vedi Graf. 1 e Tab. 1). Livello raggiunto a seguito dell’inasprimento della tassazione imposto dal governo Monti che ha reintrodotto la tassa sulla prima casa, ha aumentato i contributi Inps sui lavoratori autonomi, ha inasprito il prelievo fiscale sugli immobili strumentali, ha ritoccato all’insù il bollo auto, etc.