REDAZIONE Pubblichiamo un post interessante tratto dalla pagina Facebook Dolomitici! dove si parla della visita al Passo Fedaia di Clyde E. Wiegand, il fisico americano che contribuì allo sviluppo della bomba atomica. Wiegand fece visita alla capanna dei raggi cosmici ai piedi della Marmolada al passo Fedaia.
IL POST DI IVANO DE PELLEGRINI
Oggi al passo Fedaia resiste la capanna dei raggi cosmici, costruita negli anni ’50, che ospitò esperimenti rilevanti per studiare le particelle elementari.
Questo laboratorio dell’Università di Padova fu visitato da scienziati famosi di tutto il mondo, a volte in incognito. Vi lavorarono alcune promesse della fisica italiana: Pietro Bassi, Marcello Cresti, futuro rettore dell’Ateneo patavino, Luciano Guerriero, primo presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana, tanto per fare alcuni nomi. Fu frequentata anche da celebri premi Nobel: Blackett, Powell e Fermi, che amava passare le vacanze nelle Dolomiti come Edoardo Amaldi e altri grandi fisici di quei tempi. Tutti si innamorano di quella capanna che di lì a qualche anno, con la costruzione degli acceleratori, sarebbe stata abbandonata per sempre. E che oggi, nel più solenne silenzio, viene solo sfiorata distrattamente dai turisti, ignari di trovarsi innanzi ad un luogo in cui la scienza si è fatta storia. Autunno 1956. –“È appena tramontato il sole. Un uomo intirizzito dal freddo, dopo aver risalito i ripidi tornanti da Malga Ciapela, costeggia a piedi, ansimando, il lago artificiale dominato dai ghiacci eterni della Marmolada, la cima più alta delle Dolomiti. Supera la diga ed entra al Rifugio Castiglioni per chiedere al gestore dove si trovi una certa capanna. «Scenda nell’altro versante solo qualche centinaio di metri. Non può non vederla» risponde il gestore. È questione di qualche minuto. La scorge al limitare del bosco. Si avvicina. Bussa. All’interno prendono paura: “Ci allarmò un frenetico bussare alla porta: a quell’ora era insolita una visita. Ma questa apparve subito straordinaria: un giramondo, certamente, per la sua bardatura. Un cappellaccio copriva parte della zazzera arricciata, la barba incolta, l’aspetto truce. Era rivestito da un sudicio impermeabile che copriva a malapena una zimarra indossata su un groviglio di maglie policrome. Ci salutò in uno stentato italiano, con voce roca seppure giovanile, chiedendo ospitalità per la notte. Risposi che non avevamo letti; ma lui sogghignò, scaricando a terra un mostruoso sacco a pelo. Poi, e qui il viso già grinzoso approfondì le sue rughe, alluse all’incarico di aver partecipato al progetto del detonatore della bomba atomica ed alla sventurata spedizione a Nagasaki, il 9 agosto di cinque anni prima. Da allora non aveva più avuto pace, né spiritualmente né fisicamente (nel corpo portava le conseguenze della deflagrazione radioattiva)”. Quel curioso personaggio in cerca di riparo, non era un escursionista qualsiasi. Era infatti Clyde E. Wiegand nato a Long Beach, Washington il 23 maggio del 1915 grande fisico statunitense, tra i scopritori dell’antiprotone, il cui contributo per la costruzione dell’atomica di Nagasaki era stato tanto decisivo quanto sconvolgente per la sua coscienza. E nemmeno quella capanna era una capanna qualsiasi. Si trattava di un vero e proprio Cern dell’epoca, un laboratorio dell’Università di Padova allestito per studiare uno dei più affascinanti misteri dell’universo: i raggi cosmici. Tra coloro che aprirono la porta a Wiegand vi era anche un giovane laureando, Claudio Manduchi, l’autore del diario da cui è stato tratto il racconto di quella notte. Per la cronaca Wiegand, dopo essersi presentato e dopo aver interrogato con nemmeno troppa discrezione i colleghi sui risultati dei loro esperimenti, scomparve all’alba dell’indomani, dopo aver lasciato un biglietto con un’unica parola: «Crazie!». Il laboratorio del Fedaia, la «capanna dei fisici», venne abbandonato. Ma ancora è testimone di un pezzo importante di storia della scienza. Speriamo che i turisti che ci passano accanto conoscano questa storia.
Testo estrapolato da Corriere di Verona 19 Luglio 2020
di Alessandro Tortato
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