Dal 17 marzo fino al 25 giugno scorso, le domande pervenute al Fondo di garanzia del Ministero dell’Economia e delle Finanze, così come previsto dai decreti “Cura Italia” e “Liquidità” , sono state 715.776, per un importo complessivo di finanziamenti richiesti dalle imprese pari a 41 miliardi di euro. A dirlo è l’Ufficio studi della CGIA.
Sebbene in termini assoluti queste cifre appaiono estremamente significative, correttezza statistica suggerisce che sia preferibile dimensionare l’entità di questo fenomeno attraverso il calcolo dell’incidenza delle domande di finanziamento presentate al Fondo sui potenziali beneficiari di queste misure.
Pertanto, se teniamo conto che i possibili fruitori di questi due provvedimenti ammontano a poco più di 5.460.000 unità , significa che a seguito delle oltre 715.700 domande presentate in questi 3 mesi, solo il 13 per cento del totale degli imprenditori e dei liberi professionisti italiani è ricorso a questi aiuti economici. Pertanto, l’87 per cento non l’ha fatto.
“Insomma, quasi 9 Pmi su 10 non hanno chiesto alcun prestito. Sia chiaro – segnala il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo – se i numeri sono così contenuti la responsabilità non è delle banche e nemmeno del Fondo di garanzia, ma è riconducibile al fatto che lo strumento ha suscitato pochissimo interesse tra gli imprenditori. Certo, qualche istituto di credito non è stato particolarmente solerte nella formulazione delle istruttorie.
Tuttavia, con un passivo bancario in capo a ciascuna piccola impresa che in Italia ammonta mediamente a circa 100 mila euro, la quasi totalità di queste realtà produttive non ha ritenuto conveniente indebitarsi ulteriormente per risolvere i propri problemi di liquidità. Segnaliamo, invece, che avrebbero bisogno di contributi a fondo perduto che fino ad ora sono stati erogati in misura del tutto insufficiente”.
Anche il segretario della CGIA, Renato Mason, non manca di sottolineare la necessità di sostenere economicamente le attività imprenditoriali: “In un momento di grave crisi economica come questo, non è il caso di fare polemiche, tanto meno di accusare chicchessia di inefficienza o scarsa sensibilità nei confronti delle nostre Pmi. Tuttavia, è necessario consentire alle aziende di ottenere la liquidità con più facilità, mettendo gli istituti di credito nelle condizioni di farlo. A parità di costi, o quasi, ma con fatturati in caduta libera, se nei prossimi due o tre mesi le piccole aziende non avranno a disposizione la liquidità necessaria per far fronte alle esigenze di ogni giorno, in autunno molte di queste non avranno la forza di rimanere aperte, con effetti occupazionali molto preoccupanti. Ricordo, ad esempio, che nelle realtà produttive con meno di 50 addetti sono occupati quasi due terzi degli addetti del settore privato”.
Dare liquidità a fondo perduto per evitare la deflazione
Senza liquidità, il Paese potrebbe scivolare pericolosamente verso la deflazione. E’ un rischio che ha già fatto capolino nel mese di maggio quando l’indice dei prezzi al consumo è stato del -0,2 per cento sia su base annua che mensile. La deflazione, ricordiamo, si manifesta con un progressivo calo dei prezzi dei beni e dei servizi. Ad un primo acchito la cosa parrebbe positiva: se i prezzi scendono i consumatori ci guadagnano.
In realtà le cose stanno diversamente: nonostante i prezzi diminuiscono, le famiglie non acquistano, poiché, a causa delle minori disponibilità economiche e delle aspettative negative, quel poco che viene venduto comporta, per i dettaglianti, margini di guadagno sempre più risicati. La merce, rimanendo negli scaffali dei supermercati e nelle vetrine dei negozi determina una situazione di difficoltà per i commercianti, ma anche per le imprese manifatturiere che, a fronte di tanto invenduto, sono costrette a ridurre la produzione.
Tutto questo inizialmente dà luogo a un aumento del ricorso alla cassa integrazione che poi sfocia in una forte impennata dei licenziamenti. Insomma, si crea un circolo vizioso che getta nello sconforto l’economia del Paese. Per superare questa situazione, pertanto, è necessario iniettare elevate dosi di liquidità nel sistema economico erogando credito alle famiglie, alle imprese e rilanciando gli investimenti, attraverso la realizzazione di quelle opere pubbliche che sono necessarie alla crescita del Paese.
Avendo sperimentato che i prestiti bancari previsti dal “Cura Italia” e dal decreto “Liquidità” non hanno dato i frutti sperati, riteniamo sia necessario rafforzare l’erogazione degli indennizzi diretti alle imprese che sono state “piegate” dal COVID, almeno fino alla fine di settembre.
Al Sud i mini prestiti non interessano
A livello territoriale le Marche, con il 17,8 per cento, hanno registrato la più alta incidenza di domande a livello nazionale di prestito bancario presentate con l’ausilio del Fondo di garanzia sul numero di Pmi e di lavoratori autonomi ubicati in regione. Seguono l’Emilia Romagna con il 16,4 per cento, la Toscana con il 16,2 per cento e l’Umbria con il 14,8 per cento. Com’era prevedibile, le realtà territoriali del Mezzogiorno presentano l’incidenza più bassa: la Calabria, infatti, fa segnare l’11,1, la Sicilia l’11, il Molise il 10,9, la Sardegna il 10,5 e la Campania il 10 per cento. Fanalino di coda a livello nazionale è il Trentino alto Adige che ha fatto segnare solo il 5,1 per cento di adesioni (vedi Tab. 1).