di RENATO BONA
“Le antiche voci dei Monti Pallidi” è il titolo del libro col quale lo scomparso Giuliano Palmieri (nato a Longarone nel 1940 e mancato subito prima del Natale 2008; per lustri apprezzato docente di latino e greco nel liceo classico di Treviso; fra l’altro era appassionato di archeologia, la prima grande passione della sua vita, e contribuì a fondare il Gruppo archeologico trevigiano di cui fu il primo direttore, e collaborò, alla fondazione del Museo di Crocetta del Montello di cui è stato conservatore onorario per l’archeologia; affezionato alla montagna, in particolare alle Dolomiti, trascorreva le estati nella casetta di Val Fiorentina, zona di cui è originaria la moglie Anna, ed ebbe modo di entrare in contatto con attivi archeologi dilettanti locali tra cui, in particolare, Vittorino Cazzetta, scopritore della sepoltura di Mondeval e non solo, tragicamente scomparso nel 1966; ancora: collaborò alla fondazione e strutturazione del piccolo ma interessante Museo archeologico di Selva di Cadore) che illustra mito e folclore delle Dolomiti. Il pregevole lavoro (edito da Canova nel 2002) è di fatto il seguito di “I regni perduti dei Monti Pallidi” (scritto nel 1966 col figlio Marco) che, come si legge nel sito “ilregnodeifanes.it”, è l’esame dei rapporti tra le leggende dolomitiche (in genere, non quella dei Fanes) e quelle delle altre popolazioni europee. Di particolare interesse l’analisi delle ‘maschere’ di alcuni carnevali dolomitici e non. Il libro (in copertina l’Om Salvarek di Rivamonte Agordino,) come spiega la prefazione, preceduta dalla frase dedicata al ricordo di Vittorino Cazzetta: “Il reperto non è mai un punto d’arrivo, al contrario, segna lo sviluppo della ricerca” – “è un frutto settoriale di un’analisi essenzialmente archeologica delle leggende pre romane raccolte da Karl Felix Wolff, il ricercatore di Bolzano il quale all’inizio del secolo salvò e rielaborò i miti del mondo ladino dolomitico che, senza la sua opera, si sarebbero persi e dimenticati per sempre, annullando un patrimonio che si sta rivelando vastissimo per dati e notizie, spesso fondamentali non solo per quest’area, ma anche per lo scenario dell’alto Adriatico e transalpino” – e si articola nei seguenti capitoli (sui quali speriamo di poter tornare in altre occasioni -ndr.): “L’uomo e le Dolomiti”, “Il mito di re Laurino”; “Le fiabe dei fratelli Grimm e le leggende raccolte da Wolf”; “Gli antichi paralleli”; “Le ultime tracce nel folclore ladino”; chiudono le Conclusioni, la ricca Bibliografia ed i ringraziamenti ad amici e studiosi oltre che, ovviamente, a quant’altri hanno validamente collaborato per l’edizione di “Le antiche voci dei Monti Pallidi”; il tutto preceduto da una dedica (alla moglie – ndr.): “L’antico profumo di queste storie ad Anna, la storia più bella della mia vita”.
NELLE FOTO (riproduzioni da “Le antiche voci dei Monti Pallidi”; Palmieri; Giuliano Laveder; sito “ilregnodeifanes.it”; Giuliano Dal Mas; Soia; Centro ricerche sociali e culturali Dosoledo; Darman): la copertina del libro; l’autore prof. Giuliano Palmieri; anni ‘50: Val Fiorentina con l’intenso sfruttamento agricolo; la statua di Teodorico e di re Laurino a Bolzano; statuina in legno di re Laurino; i fratelli Grimm in una stampa tedesca dell’800; il Castello di Andraz in una litografia ottocentesca; in cammino per una vecchia mulattiera, nel mondo delle leggende delle valli dell’Alto Cordevole; strada della vena dove passava il minerale del Fursil diretto ai forni di Andraz, Valparola e di Piccolin in Val Badia; fioritura di papaveri da oppio i cui semi sono molto usati nella cucina ladina ed austriaca; la cascata delle Comelle: si dice che gli spiriti delle acque dessero la pazzia; l’Anguana dal piede di capra in un disegno attribuito a Tiziano; Rivamonte Agordino: la danza delle giovani donne attorno all’Om salvarek che le tocca col ramo di betulla, portatore di fertilità; Fornesighe: la Gnaga, signora del carnevale di un piccolo paese della Val Zoldana con la sua antica maschera di legno, nella gerla porta una bambina, simbolo del nuovo anno; a Dosoledo la danza del Matazìn e del Laché; Rocca Pietore: il Matazìn di Sottoguda col suo variopinto costume, la mazza e il cappello che per tradizione deve essere ornato almeno da100 fiori.