Gli Earth, Wind & fire, terra, vento e fuoco, sono una band che è stata molto famosa negli anni settanta, il cui nome, sostituendo terra con acqua, potrebbe essere preso a prestito per intitolare il film dell’orrore andato in scena in Agordino a fine ottobre di quest’anno. Acqua, vento e fuoco quindi, anzi, vento, fuoco e acqua nell’ordine. Cominciando appunto dal vento che mercoledì 24 ottobre ha causato la caduta di piante sui fili dell’alta tensione nella zona della galleria di Mezzo Canale, tra Listolade e Cencenighe, innescando ed alimentando un devastante e furioso incendio propagatosi anche grazie al terreno insolitamente secco per la stagione. Incendio che ha imperversato per tre giorni distruggendo uno splendido angolo di Dolomiti quali sono le Pale e la Valle di S. Lucano, placatosi prima per l’intervento dell’uomo ma in modo definitivo per opera della natura sotto forma di pioggia. Pioggia che è sembrata quasi un pianto per la perdita di un paradiso di ineguagliabile bellezza. Un pianto che però è diventato inconsolabile, trasformandosi poi in isterico e torrenziale, tanto da ingrossare torrenti e ruscelli ed impregnare il terreno, che ha cominciato a cedere. Inondazioni e frane hanno così preso il posto del fuoco ormai spento, quasi come se un mostruoso essere avesse subìto una mutazione continuando la sua opera distruttrice sotto altre spoglie. Ma non era ancora finita, anzi, il peggio doveva ancora arrivare. Il vento, quasi a chiudere un cerchio con lui iniziato, è tornato impetuoso con la discesa delle tenebre nella serata/nottata del 29 ottobre. Un vento come non si era mai visto dalle nostre parti, capace di abbattere tutto ciò che incontrava, piegando definitivamente con la complicità dell’acqua un Agordino già provato, martoriandone soprattutto la parte alta. E’ sembrata l’apocalisse, giunta in un buio primordiale dovuto alla mancanza di energia elettrica. Buio e un’assordante rabbioso frastuono sono stati la colonna sonora per ore, gettandoci nel terrore e mettendo a nudo la cruda verità: noi uomini del terzo millennio, pur così così evoluti, siamo immensamente fragili ed impotenti di fronte alle forze immensamente superiori scatenate dalla natura. L’apocalisse, verificatasi con il buio, si è materializzata visivamente alle prime luci dell’alba quando ci siamo svegliati in un’altra dimensione. Migliaia di piante abbattute, tetti scoperchiati, linee elettriche scomparse, telefoni muti, acquedotti distrutti, ruscelli esondati, case allagate, strade interrotte, frane ovunque. La devastazione più totale ed un senso di smarrimento, di incredulità, di angoscia, di sopraffazione. “Ma cosa abbiamo fatto per meritare tutto questo? Per essere puntiti così duramente nell’arco di soli cinque giorni? Ci siamo chiesti. Noi, il popolo della montagna, che resiste tra tante difficoltà nonostante una politica miope che, equiparandoci alla pianura, ci sottrae servizi essenziali non tenendo conto di un’ ovvia specificità che ci sarebbe dovuta. Il popolo del volontariato, fondamentale forma di solidarietà per ovviare alle tante problematiche che ci affliggono. Il popolo delle maniche tirate su, che prima si arrangia e poi semmai chiede. Il popolo degli allevatori alle prese con innumerevoli problemi, ma che in quello della burocrazia che lo assedia trova l’unico insuperabile. Il popolo della Luxottica che qui è divenuta una multinazionale mondiale grazie ad un imprenditore illuminato che da noi ha trovato laboriosità e attaccamento all’Azienda. Il popolo che anche stavolta saprà riprendersi perché è nel suo DNA non piangersi addosso ma darsi da fare, come nel lontano 1966, altra annata disgraziata. Eppure, tra tanta distruzione e dolore, forse qualcosa di positivo questo epocale avvenimento ci ha lasciato in eredità. Abbiamo ripreso a parlare tra di noi, non al telefonino ma a voce perché le linee telefoniche erano interrotte. C’è stata l’opportunità di scambiare due parole, due informazioni, di farci coraggio, di riapprezzare piccole cose che in una situazione normale paiono ormai insignificanti. Ed è stato bello, grazie a Sindaci capaci, ad alcuni politici visti forse per la prima volta come utili alla causa, a un esercito di soccorritori, a tanta gente di buona volontà, a noi stessi, riappropriarci man mano di una vita disagiata ma tornata almeno in parte normale. Il solo schiacciare l’interruttore della luce constatando che il fondamentale chiarore artificiale era tornato, seppure per opera di centinaia di generatori, è servito a farci capire come cose ritenute apparentemente insignificanti nel contesto di tutti i giorni diventano straordinarie nell’emergenza. Come straordinario è stato riascoltare la nostra Radio Più, zittita inizialmente dalla tempesta, ma poi tornata a parlarci, divenendo mai come in questo caso insostituibile voce fondamentale e amica. Se di tutto ciò che è successo faremo lezione allora questa orribile esperienza sarà servita a qualcosa. Il cammino della possibile rinascita è appena cominciato e da esso dipenderà il futuro dell’Agordino, alle prese da anni con il problema dello spopolamento. Per invertire la tendenza, che ora potrebbe accentuarsi, servono risposte urgenti, un cambio di visione, politiche lungimiranti, tanto lavoro da parte di tutti. In caso contrario sarà come decretare la condanna a morte di un territorio. Forza Agordino!