DI ALESSANDRO SAVIO
A seguito della segnalazione di Michele Ben che abita nella frazione, dopo una recente visita al cantiere di realizzazione della scogliera di protezione dell’abitato in località “La Bia” sotto a Forno Val sulla sinistra orografica del torrente Tegnas è stato ritrovato nella fase degli scavi un blocco di pietra lavorato e fortunatamente messo da parte dall’operatore del mezzo meccanico. La pietra ha la forma di un parallelepipedo avente le dimensioni di cm 60 X 60 X 60; sulla sommità è dotata di un incavo circolare dal diametro di cm 15 ed una profondità di cm 5
REPERTI DI ANTICHE FUSINE DELLA REGOLA DI FORNO DI VAL
TAIBON La frazione di Forno di Val , situata all’imbocco della Valle di San Lucano , anticamente era caratterizzata da vecchie case in sassi e da opifici (Forni fusori) ove veniva lavorato il minerale ferroso proveniente dalle località di “Col della Vena” e “ Lastia di Val de Gardes”. Le miniere erano di proprietà di famiglie borghesi di Agordo, passate poi alla famiglia Crotta. Parliamo dei secoli XIII e XV con giacimenti (Buse o Vene) ad una resa modesta, coltivate con mezzi e tecniche antiche per la estrazione del materiale che veniva ulteriormente separato dalle scorie nei forni in prossimità della frazione e poi ulteriormente lavorato nelle adiacenti fucine dotate di magli idraulici alimentati dal vicino torrente Tegnas. La roggia che incanalava l’acqua per produrre la energia idraulica partiva a monte della località Forno di Val e alimentava alcune fucine per poi raggiungere il centro del paese ove muoveva mulini e segherie. Le fiorenti attività fabbrili dell’epoca producevano chiodi,cerchi per ruote di carriaggi,utensili da lavoro come scalpelli, punte , leverin, giandin, zapin, ma anche roncole, asce e spade. Gli abitanti di Taibon erano infatti anche dei rinomati ed abili scalpellini e tagliapietra per la produzione di fontane,recipienti vari,materiali da costruzione, stipiti, gradini, davanzali, capitelli , realizzati in pietra locale proveniente dalla Valle di San Lucano , e venivano lavorati a mano con ponta e mazot, giandin, punciot e scalpelli. Ecco che gli utensili da lavoro dovevano essere di pregio e qualità e soprattutto avere una buona resistenza per poter lavorare al meglio la pietra.
Tornando ai giorni nostri, secondo una prima analisi il blocco di pietra lavorato potrebbe essere un cosiddetto “Bagnin” , attrezzo in pietra che i fabbri utilizzavano per temperare gli utensili da scalpellino immergendone la punta per pochi secondi nell’incavo contenente una mistura di acqua e grasso animale rendendo così più resistente l’attrezzo in metallo. Il luogo del ritrovamento potrebbe essere ideale vista la vicinanza delle antiche fucine di Forno Val. Una seconda ipotesi che potrebbe anche essere assai verosimile sarebbe la possibile provenienza della pietra lavorata, dalla chiesa di San Lucano , infatti la sua forma fa pensare ad una acquasantiera posta all’interno della Chiesa . L’edificio di culto è stato investito da due alluvioni, negli anni 1882 e per ultima nel 1966 quando l’intera arcata verso strada con la parete di ingresso e la tomba di Beata Vazza fu spazzata via dalle acque impetuose del Tegnas portandosi a valle anche l’acquasantiera collocata all’entrata principale e trasportata dal torrente fino al punto dove perde la sua velocità in prossimità di Forno Val e spiana per un attimo prima di raggiungere il paese di Taibon , facilitando appunto il deposito della pietra. A supporto di questa versione c’è la relazione del vescovo Giovanni Tommaso Malloni del 31 luglio 1635 dopo la visita pastorale che diceva “ Nell’angolo a sinistra vicino all’ingresso c’è l’immagine dipinta di San Lucano e della Beata Vazza, sotto sono posti i cancelli di legno entro i quali si dice sia sepolta la Beata Vaza. Vicino c’è pure la pila dell’acqua santa.” Questo inventario viene riconfermato anche nella visita pastorale del Vescovo Giovanni Francesco Bembo del 13 Agosto 1701 quando afferma “ Ci sono nella Chiesa due pile per l’acqua Santa” e conclude la sua visita nel romitorio abitato dall’eremita Nicola Bortolini di Siena. Si può quindi affermare che nel “700 la chiesa era dotata di due acquasantiere. Alla data attuale ne esiste solo una posta all’ingresso della entrata laterale la quale non è stata investita dalla alluvione. La pietra lavorata ritrovata in questi giorni nei pressi di Forno Val potrebbe quindi essere l’acquasantiera descritta dal Vescovo Malloni nel 1635. La seconda versione viene anche supportata dal fatto che il blocco di pietra calcarea si presenta completamente candido e di colore bianco senza alcuna traccia di materiali ferrosi o di elementi esterni quali grassi animali ed oleosi che possano aver macchiato la superficie del sasso , probabilmente anche per la sua permanenza nel greto del torrente. Attualmete il reperto è stato recuperato e sarà conservato presso il Museo Etnografico del Comune di Taibon per eventuali altri studi del caso ma soprattutto per rispetto degli antichi scalpellini che ne hanno plasmato la forma .