di RENATO BONA
Stampato nel 1983 da Nuovi Sentieri Editori con 66 belle fotografie del periodo 1888-1950 Nella mia biblioteca custodisco gelosamente un bellissimo libro: “Riva de na òlta: paés de cònze e de canòp”, testo Raffaello Vergani e riproduzioni fotografiche dell’amico Giuliano Laveder, stampato nel 1983 da Litografia Antiga di Crocetta del Montello per Nuovi Sentieri editore di Bepi Pellegrinon, a cura dell’Amministrazione comunale di Rivamonte Agordino con il contributo della Parrocchia locale e dell’Azienda autonoma soggiorno e turismo “Conca Agordina” in occasione della mostra fotografica “Riva de na òlta” allestita nell’estate del 1983. Va ricordato che le fotografie del volume sono state fornite per la maggior parte dalla gente del paese, altre provengono dall’archivio di Loris Santomaso (che ha curato l’ordinazione fotografica e didascalica) e altre ancora da Bepi Pellegrinon, Rinaldo Andrich ed Adelio Da Ronch. La presentazione del libro fu del sindaco Domenico Del Din il quale mise in evidenza che “… il linguaggio impiegato è quello delle immagini, una forma espressiva fresca ed immediata che evoca una moltitudine di ricordi negli anziani e stimola alla ricerca e al confronto le nuove generazioni”. Secondo Del Din “… l’opera è un’autentica galleria di quadri che riproducono con fedeltà, buon gusto ed arte un arco di tempo che abbraccia un secolo, circa, di storia del nostro comune. Si tratta di villaggi rustici, di comitive allegre e vivaci rese caratteristiche dai ricercati costumi dell’epoca, di suggestivi paesaggi incorniciati dalle nostre immutabili ‘crode’, di feste cariche di spirito religioso e folkloristico, di scenette agricole e pastorali, di operosi seggiolai ambulanti, di serve e minatori” che svolgevano “i mestieri che rappresentavano la forza economica trainante di Riva fino a qualche decennio fa… l’agricoltura e l’allevamento, poi, costituivano un necessario aiuto per l’integrazione del modesto bilancio familiare, spesso sul limite della pura sopravvivenza”. Oggi – concludeva il Sindaco –tutto è mutato: le miniere dell’Imperina dopo sei secoli di sfruttamento sono state chiuse, i seggiolai hanno riposto definitivamente nelle soffitte i ferri del mestiere, il lavoro della serva emigrante non è più praticato… Tanta gente se n’è andata in cerca di un posto di lavoro rispondente alle nuove esigenze di vita. Ecco quindi che quest’opera rappresenta un nobile sforzo di recupero culturale di testimonianze passate, ormai degne di entrare nella storia… La conoscenza del passato è un indispensabile strumento per programmare in modo equilibrato il futuro…”. A Raffaello Vergani (che è stato insignito della cittadinanza onoraria di Rivamonte Agordino – ndr.) il compito di illustrare sinteticamente la storia (sulla quale torneremo anche per proporre altre immagini – ndr.): sotto il titolo “Da Riva d’Agordo a Rivamonte Agordino” scrive fra l’altro che: “… In passato Riva d’Agordo – così si chiamava fino al 1867, quando ne fu mutata la denominazione per facilitare il recapito della posta – è stato per circa tre secoli un paese omogeneo, stabile e coerente, sul piano economico, sociale e demografico. In senso relativo, s’intende: le crisi non mancano mai, nella storia di una comunità. Ma nell’insieme il paese, come si dice ‘ha tenuto’ per un lungo periodo. I tre secoli di cui parliamo si svolgono, grosso modo, dal 1600 al 1900: i maschi in età lavorativa, allora, erano quasi tutti minatori e operai metallurgici…”. Ed eccoci a Giuliano Laveder il quale precisa che “Una innata passione per la fotografie ed un profondo attaccamento al mio paese e alla sua tradizione, sono i primi e soli responsabili delle immagini di questa pubblicazione e di tutte le altre presentate in occasione della mostra su Riva di una volta” e auspica “Al di là di ogni possibile apprezzamento sul risultato ‘tecnico’: vorrei che fosse colto il messaggio di vita che costituisce il nodo unitario di tutte queste fotografie: la vita dei nostri vecchi, dei canòp e dei cònze, in particolare della nostra comunità così’ ricca di storia, di tradizioni, di umanità e di cultura, il modo di essere di Riva quando la civiltà dei consumi era ben di là da venire”. E’ in questo modo – afferma – che ho voluto testimoniare il sincero amore per il mio paese e la sua gente…”.
NELLE FOTO (Corriere delle Alpi e riproduzioni dal libro su Rivamonte Agordino di una volta): copertina della pubblicazione; Giuliano Laveder; Raffaello Vergani; di Riva si parla già nel 1200 ma la ferrovia arriverà nel 1925…; Ponte Alto: tre ponti di legno che hanno resistito a lungo…; finché il progresso ha portato il calcestruzzo; anche una passerella per raggiungere Riva!; Zenich istantanea di gruppo presso la casa Sommariva, presente anche el Mènco (fabbro); Le Miotte nel 1900 dove il dottor G. Feruglio censì 177 abitanti; tre signore in posa “drìo la cesa”; l’immagine del Piatti è d’inizio secolo quando Rosson sfiorava le 200 persone; Villagrande, la frazione capoluogo; Tòs ovvero: la periferia che conta perché il 19 settembre 1909 avrà la scuola; da Postràn ai pie de l’Amaròl si gode la vista più bella del paese.