BELLUNO Sì è svolto a Belluno un interessante seminario dal titolo “Gestione di un’emergenza. 5 anni dopo: approfondimenti e confronti” organizzato dall’Assessorato regionale alla Protezione Civile, in collaborazione con gli Ordini professionali degli Ingegneri di Belluno e dei Geologi del Veneto. Dopo gli interventi di saluto del sindaco di Belluno e della Provincia, del viceprefetto Sallusto, del questore Zerilli, degli ordini di geologi e ingegneri e del rappresentante del volontariato di Protezione Civile Cadorin, moderati da un preciso e in qualche caso pungente Michele Carbogno, si sono poi succeduti negli interventi l’ingegner Luca Luchetta, il geologo Giorgio Giacchetti, il direttore della Direzione Interregionale dei Vigili del Fuoco del Veneto e del Trentino Alto Adige, Loris Munaro, il direttore Operativo del Coordinamento Emergenze del Dipartimento nazionale della Protezione Civile, Luogi D’Angelo, il direttore della Direzione Difesa del Suolo della Regione Vincenzo Artico e il professore dell’Università di Padova nonché refererente della Commissione Nazionale Grandi Rischi, Giuseppe Maschio. Centrale, ovviamente, l’intervento dell’assessore regionale all’Ambiente e Protezione Civile Gianpaolo Bottacin, che quell’emergenza la seguì per tutto il tempo sia guidando l’Unità di Crisi da Marghera, sia direttamente dal campo per verificare in tempo reale i danni al territorio, sia successivamente monitorando i lavori di ricostruzione: ben 2517 cantieri. E su questo Bottacin ha voluto fare anche alcune precisazioni: “Vaia ha interessato oltre duecento comuni veneti, provocando oltre un miliardo di euro di danni. L’immagine tuttavia che spesso accompagna l’evento è quella degli alberi abbattuti, ma come dico sempre, quello degli alberi è stato il minore dei problemi. Non esisteva più la viabilità, né le linee elettriche e non perché si fosse semplicemente interrotta una linea, ma in quanto non esistevano neppure i tralicci. C’erano centinaia di nuove frane innescate, erano saltati acquedotti e fognature. Si erano creati oltre cento nuovi siti a rischio valanga”. Le opere di difesa del suolo, argini e briglie avevano fatto il loro mestiere salvaguardando vite, tanto è vero che rispetto all’alluvione del 1966 le perdite umane sono state enormemente minori; ma in quel momento la priorità era ripristinarle nel più breve tempo possibile. “Se infatti poi ci fosse stato un fenomeno anche molto meno impattante di Vaia – ha proseguito Bottacin – avrebbe creato danni incommensurabili. Le briglie perciò andavano svuotate e ripristinate. Allo stesso modo gli argini. Bisognava assicurare l’ncolumità pubblica e inoltre c’erano tutti i servizi da sistemare nel più breve tempo possibile: luce, acqua, gas, viabilità”. “Penso si possa dunque ben comprendere che gli alberi abbattuti – ha ribadito – erano il minore dei problemi, visto che tutto il resto impattava sulla vita delle persone”. E ancora : “bisognava fare presto, cosa che con le norme complesse di questo Paese non è sempre facile. Inoltre andava gestito il rischio fino al ripristino delle opere di difesa del suolo. Tutte cose che abbiamo fatto con un colossale piano di Protezione Civile, di cui poco si parla, che prevedeva anche l’eventuale evacuazione di centinaia di edifici in caso di emergenza’. Il tutto si è poi tradotto in 2527 cantieri appaltati in tre anni per oltre un miliardo di euro, gestiti senza contenziosi. Di questi il 70% circa già concluso. Sono numeri che non hanno eguali a livello nazionale, tant’è che il Veneto viene oggi citato come esempio di ricostruzione post alluvione, esattamente come il Friuli per quanto riguarda la ricostruzione post sisma. “La macchina dell’emergenza, che ho coordinato personalmente – ha concluso Bottacin – ha funzionato bene, ma voglio ricordare anche l’importanza della prevenzione, visto che le opere che avevamo realizzato negli anni precedenti sono state decisive per ridurre i danni”.
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