L’OPINIONE
di Claudio Pra
La vicenda della dismessa seggiovia di Frassenè, con i cavi penzolanti e pericolosi dopo l’evento Vaia, mi suggerisce futuri scenari dolomitici ricchi degli scheletri arrugginiti di impianti in abbandono. I cambiamenti climatici, ormai è certo, relegheranno lo sci a quote piuttosto alte, mettendo fuori gioco molte località. In questo contesto tanti politici e imprenditori, infischiandosene, continuano a parlare di un ampliamento dei caroselli sciistici, come se l’offerta non fosse già abbastanza ampia e il rischio non fosse quello di rovinare inutilmente aree di grande pregio. Già perché, tornando alla seggiovia di Frassenè, non è che poi una volta inutilizzato un impianto venga smantellato. Rimane lì a marcire e a deturpare l’ambiente in cui è inserito. Gli esempi, oltre a Frassenè, non mancano. In Veneto se ne contano 35. Vogliamo che in futuro aumentino? Ho sentito recentemente un politico affermare che uno sciatore deve avere la possibilità di raggiungere, sci ai piedi, tutte le località perché l’offerta è si già ampia, ma deve aumentare se si vuole che la montagna non si spopoli. Ma che discorsi sono? A parte l’insostenibilità ambientale del progetto, si crede davvero che il problema dello spopolamento si risolva con altri chilometri di impianti e piste? Lo sfruttamento selvaggio del nostro territorio splendido e unico si rivelerà invece un boomerang. Dilapidare la bellezza dei nostri paesaggi sarà negarci un futuro dove si tornerà a cercare quelle cose che chi davvero ama la montagna cerca. L’attuale turismo di massa che ci è piovuto addosso, che porta soldi nell’immediato, deve farci riflettere su tante, troppe deformazioni che porta con sé. Il “Non vogliamo vincoli”, frase tanto di moda in questo periodo, non vorrei si rivelasse il grimaldello per aprire una porta che conduce alla rovina della montagna. Giusto pretendere di avere voce in capitolo sui nostri territori, anzi sacrosanto, ma stando all’interno di regole. Oggigiorno chi si schiera dalla parte della difesa della natura è additato come un nemico della montagna. Mi fa paura e allo stesso tempo riflettere questa caccia alle streghe, così come l’affermarsi di un pensiero che bada al solo sfruttamento, al tutto e subito, senza porsi domande su che ne sarà delle nostre Dolomiti fra qualche anno, cosa che dovrebbe fare anche qualche ente preposto il cui silenzio è assordante. Sostenibilità dovrebbe essere il mantra, la parola chiave che guida noi montanari, veri custodi del territorio. Noi che non dobbiamo farci abbindolare da mercanti pronti a svendere il patrimonio dell’umanità nel quale viviamo, che abbiamo l’obbligo di preservare per i nostri figli e per quanti, anche in futuro, vorranno essere ospiti di questi luoghi unici. Non è trasformando la montagna in quel che non è, a uso e consumo di un certo turismo che con la montagna non ha niente a che fare che saremo bravi custodi. Custode, chi è addetto alla custodia, alla cura, recita il dizionario. Sapremo avere cura delle Dolomiti difendendole dall’assalto degli speculatori? Ce lo dirà un futuro nemmeno troppo lontano, anzi, dietro l’angolo.