Nell’ottobre di vent’anni fa, con la preziosa collaborazione di Emilia Sommariva (laureata in lingue e letterature straniere, premio speciale del Parco nazionale Dolomiti Bellunesi “F. Caldart” nel 1996, tra i soci fondatori e membro del direttivo del Club Unesco Agordino per il quale ha coordinato diverse attività tra cui la mostra del 1999 dedicata ai seggiolai e la pubblicazione sul gergo degli stessi) Sandra Carmen Re (figlia di emigrati veneti, nata e cresciuta in Svizzera, laureata con tesi in etimologia sui seggiolai ambulanti dell’Agordino da dove provenivano i nonni materni, master nel 2001 in etnologia-antropologia con una tesi sulle teorie dell’educazione in una comunità afro-brasiliana) dava alle stampe per la Comunità montana Val Belluna ed il Museo etnografico della provincia di Belluno (col finanziamento della Comunità Europea ed il contributo delle Comunità montane Val Belluna, Cadore-Longaronese-Zoldano, Feltrina e dell’Alpago), il libro “Seggiolai dell’Agordino” che in copertina propone un’immagine di seggiolai di Tiser di Gosaldo, scattata a Verona nel 1937, e nell’ultima di copertina quella di Augusto Dalla Vista, di La Valle Agordina, immortalato a Bologna nel 1940. La pubblicazione del volume (foto attuali di Daniela Perco, altre immagini di Francesco De Melis ed Emilia Sommariva, disegni di Patrizia Pizzolotto), che è stato coordinato dalla stessa Daniela Perco, direttrice del Museo etnografico bellunese, rientrava nell’ambito del progetto “Lavorazione delle seggiole, della pietra e del legno”, sub azione 6 6 relativa al “Recupero di mestieri tradizionali e artistici”. Quasi duecento pagine, stampate dalla tipolitografia DBS di Rasai di Seren del Grappa, articolate nei seguenti capitoli: “La vita itinerante dei seggiolai (Careghète e cóntha, La regione di provenienza, Origini del mestiere, Emigrazione temporanea degli Agordini, Importanza del mestiere, L’emigrazione stagionale nelle zone di montagna, Le condizioni di vita nelle città, Gli artigiani nelle campagne, Cercare lavoro, Il passaggio all’albergo, Modo di vivere, Destinazioni, Mezzi di trasporto, Procedure amministrative)”;Strumenti e tecniche di lavoro (Gli attrezzi, Gli strumenti di lavoro, Il lavoro in coppia, La lavorazione del legno e della paglia: taglio del legno con la sega, sgrossamento con l’ascia, Levigatura con il cortèl da doi man, Foratura delle gambe in venti punti, Montaggio, Impagliatura, Il costo del lavoro)”; “Identità e relazioni sociali (Gli ambulanti ed i sedentari, I contatti con i contadini della pianura, Il gergo dei seggiolai, Relazioni tra le squadre di seggiolai, Partecipazione alla vita comunitaria, Rapporti con la famiglia nell’Agordino)”; “L’apprendistato (La partenza dei ragazzi, L’apprendimento della disciplina, L’apprendimento della tecnica)”; “Fine del mestiere (I cambiamenti provocati dalla seconda guerra mondiale, Cause dell’abbandono del mestiere, Essere seggiolai nell’era industriale, Riflessioni sul passaggio alla modernità). Nell’introduzione Daniela Perco precisa che il libro, frutto di un’accurata ricerca sul terreno presenta una documentazione articolata sul lavoro dei seggiolai ambulanti dell’Agordino opera di Sandra Carmen Re, la quale segue le vicende e le peregrinazioni di questi artigiani girovaghi che dalle montagne bellunesi raggiungono diverse regioni italiane e si spingono anche in Francia, ed evidenzia che “Lo sguardo privilegiato dell’autrice è quello della tecnologia culturale con un’attenzione particolare alle conoscenze, alle abilità operative, alle autorappresentazioni e alle valutazioni delle attività lavorative, ma anche all’organizzazione sociale e culturale del seggiolaio”. Non manca poi di evidenziare come: “La garanzia di un guadagno migliore di quello riservato a chi rimaneva nelle montagne agordine, non basta ai carèghéte ad alleviare le sofferenze e le tensioni derivanti dal continuo girovagare, senza fissa dimora, dormendo in stalle e fienili, guardati con sospetto dai contadini. L’opposizione tra la stabilità, l’ordine, la normalità dell’abitare nei propri paesi di origine e l’instabilità, l’avventura, il rischio, la mancanza di garanzie dello stare fuori, sono un leitmotiv nelle testimonianze dei seggiolai… Dentro la testa di questi artigiani di montagna ci sono mappe precisissime, con i nomi anche delle più piccole località o addirittura dei casolari dell’Emilia Ronagna, della Toscana, della Savoia, della Lombardia. C’è la capacità di percorrere, con l’ausilio di pochi riferimenti, distanze ragguardevoli con gli attrezzi in spalla”. E conclude affermando che “attraverso le memorie dei seggiolai, l’autrice segue l’inesorabile declino della loro attività, che corre parallelo all’industrializzazione e all’abbandono della campagna”. Prima comunque evidenzia che “Quello che colpisce è la precocità di queste partenze, un’iniziazione al lavoro che interrompe il gioco, che separa dagli affetti più cari, che abitua all’obbedienza e al rispetto delle gerarchie. Tutto ciò che, però, garantisce la sopravvivenza e la trasmissione di un sapere tecnico, che consentirà da adulti di affrontare la vita e di metter su famiglia”.
NELLE FOTO (riproduzioni dal libro “Seggiolai dell’Agordino”): la copertina del volume; l’ultima di copertina con la figura di Augusto Dalla Vista; il disegno “Seggiolaio agordino” di Giovanni Grevembrock, Venezia secolo XVII; la Conca di Agordo agli inizi del ‘900; nella cartolina degli anni ’40 del 900: squadra di seggiolai agordini; Piemonte 1928: seggiolai di Rivamonte in un momento di festa; Giuseppe De Zaiacomo e le figlie, di La Valle Agordina in Francia nel 1932; seggiolai di Voltago Agordino negli anni ’40; Ponte Alto di Rivamonte, anni 40: il “saepa” (padrone) e il “gabùro” (garzone); Var, Francia, 1934: Teofilo e Fioravante Selle di Tiser di Gosaldo; Giovanni Pasquali di Villagrande di Rivamonte, Francia 1930; il passaporto per l’interno di un seggiolaio di Gosaldo, rilasciato nel 1899 (archivio Giocondo Dalle Feste); attrezzi dei seggiolai; Carrera di Gosaldo, 2001: Ceo Bressan di Sagron Mis mentre sgrezza il legno; stessa località con Bernardo Chenet seduto sulla “càora” leviga le gambe delle sedie con il “cortèl da dòi man”.