di RENATO BONA
“Nel nostro paese la casa è sempre stata considerata un bene fondamentale, anzi il più grande bene di cui potesse disporre una persona. Anche i più poveri possedevano una casa. Magari piccola disagiata, ma sempre una casa. Chi non possedeva una casa faceva di tutto per costruirsela…”. Si apre così il capitolo “Case, stalle e fienili” nel libro “Selva di Cadore come era. Selva da nosakàn”, realizzato dall’agordino di Selva prof. don Lorenzo Dell’Andrea nel novembre del 1993 con la bellunese tipografia Piave ad iniziativa dell’Union de i Ladiñ de Selva. Prima di passare alla descrizione di una serie di splendide, preziose immagini, Dell’Andrea concludeva: “Per i giovani queste fotografe saranno un’occasione per conoscere alcune caratteristiche dell’architettura del proprio paese. E volesse il cielo che, per i giovani e per gli anziani, la ‘lettura’ di queste fotografie fosse anche un’occasione e uno stimolo per dare finalmente il via ad uno studio serio delle caratteristiche costruttive ‘classiche’ di Selva di Cadore e per applicarle rigorosamente (e anche ‘obbligatoriamente’) nella progettazione di nuovi edifici e nella ristrutturazione di quelli esistenti”. Partiamo dunque dalla pagina 42 dell’ottimo libro con la foto (raccolta Aristide Bonifacio) di Santa Fosca verso il Cernera, attorno al 1950 la cui dicitura spiega: “E’ iniziata l’attività edilizia: alla ‘Villa Einbenstein’, costruita sopra la strada di Perazze,con davanti un campo da tennis privato, si è aggiunta la ‘Pensione Pelmo’, che per qualche tempo ospitò anche il panificio di Angelo Bonifacio ‘de i Proti, Fornèr’. In alto a sinistra il villaggio di Toffol. Ben visibile il ‘triól de la boa’ che faceva da scorciatoia per chi scendeva da L’Andria e da Toffol al ‘kaselo de Santa Fosca”. Restiamo a Santa Fosca per l’immagine (foto raccolta L. Dell’Andrea) del 1975 che mostra come “Attorno all’Istituto elioterapico è cresciuto un fitto bosco. Sono sorte abitazioni e seconde case dappertutto. La vecchia osteria di Teo è stata ampliata ed è divenuta un albergo. E’ stata costruita una piazza (di cui è chiaramente visibile l’ampio muro di sostegno). In alto a destra l’edificio delle nuove scuole elementari ‘don Natale Talamini”. Tocca ora a Pescul verso la fine degli anni 30: la foto (Soia, raccolta Maria Monico) mostra “numerosi ‘faèr’ carichi di fava ad essiccare; nei campi si vedono covoni di grano. In primo piano, ai piedi delle Coste, i pali della linea elettrica che partiva dalla centrale idroelettrica del Cordon e forniva energia a Selva di Cadore e Colle Santa Lucia. A sinistra la strada delle Crignole e in alto la chiazza del ‘bosk neger’, tagliato a raso per una malattia delle piante”. Sempre Pescul, verso il 1920: in primo piano della foto (Fedele Crizzolin, raccolta Union de i Ladin de Selva) a sinistra la segheria de ‘i Ziger’ sul torrente Fiorentina. In mezzo al villaggio, in cui case e fienili, con i tetti in scandole, sono tutti mescolati, la chiesetta di San Rocco. Subito oltre le case e i fienili del Norsia, la Chiesa di Santa Fosca. Numerosi i faèr”. E siamo a Fertazza con l’immagine (raccolta L. Dell’Andrea) accompagnata da una lunga didascalia in cui è scritto: “Un ‘tabie da mont’, con i tipici ‘leñ butai’ squadrati e non al naturale come nei periodi più lontani in stato di abbandono nel 1976. I ‘tabie da mont’ sorgevano numerosi in Fertazza; ve n’erano in Possedera e ‘inte la Mont de l fen’: il ‘tabie de le Ordene’ e, più famosop di tutti, il ‘tabie de l sindako’, poco distante dall’attuale Rifugio Aquileia. I ‘tabie da mont’ avevano un duplice scopo: ospitare la gente durante il periodo della fienagione per evitare il lungo cammino del ritorno a casa e, in particolare per i ‘tabie’ di Fertazza, conservare il fieno fino a quando fosse stato possibile trasportarlo con la slitta. Anch’essi, assieme alle attività lavorative a loro connesse, hanno costituito un aspetto caratteristico del territorio. Ora accanto ai ‘tabie de Fertaza’ passano gli skilift. Il ‘tabie’ ridotto ad elemento tipico del paesaggio, è testimone per la nostra gente di un passato di fatiche, di un presente di benessere, di un futuro di speranze”. Ci spostiamo a Toffol dove la foto (raccolta L. Dell’Andrea) ci mostra “la vecchia ‘ciesa de i Deveñ’. Molto antica nella parte centrale (forse le strutture originarie sono del secolo XVI) ha subito varie modificazioni, tra cui in epoca lontana l’aggiunta di tutta la parte anteriore a sinistra). L’immagine del 1960 circa presenta la situazione prima dell’incendio dell’aprile 1967, che portò a varie ristrutturazioni e all’alterazione delle caratteristiche originarie proprie delle case di tipologia ladina: vi si nota il poggiolo su due lati (motivo continuato nell’aggiunta a sinistra); una scala sul davanti dava ad un piccolo poggiolo nel sottotetto. Davanti alla casa l’orto con la ‘palade’ (che sono un altro elemento tipico ladino)”. Nella stessa località (raccolta Museo di Selva) l’immagine con “la ciesa de ki de Kolò’. Originariamente non c’era la parte bassa a destra (‘ciesa de i Forè o de la maestra Cadorin’.Costruita a due piani, ha il tipico corridoio centrale, sul quale si aprono lateralmente i locali interni. Il poggiolo è al primo piano e occupa solo una parte della facciata. Da notare l’ampia sporgenza delle ‘ale de l kuèrt’”. Ci avviamo a conclusione con la foto (raccolta Museo di Selva di Cadore) del “portone in legno, tipico per lavorazione massiccia, per i grossi stipiti in legno e per la costruzione a volta dell’entrata nel corridoio centrale al pianterreno”. Poi c’è quella del “Portone della ‘ciesa de i Tampoi’: è stato intagliato in legno da Santo Dell’Andrea e presenta ornamenti anche sugli stipiti pure in legno. Da notare in alto il doppio uso dell’architrave per la porta e dell’arco per la struttura in muratura. A sinistra il tetto della ‘rotonda’ della cucina. Sul tetto della ‘rotonda’ la ‘luoda da molìn’, la speciale slitta che serviva per portare al molino i cereali e riportarne la farina ‘inte i foi’”. Ultima immagine (raccolta L. Dell’Andrea) che proponiamo in questo servizio: “Us de la ciésa da l Gusto’ a Fiorentina. Gli stipiti sono in legno, la soglia è in pietra, il battente è in legno, solido con un’unica specchiatura centrale in legno. Una piccola finestra accanto alla porta serve a dare luce al corridoio. Sopra la porta è appesa una mandibola di maiale (gramola de porzèl) conservata per estrarre la ‘mégola’ a scopo terapeutico.