di RENATO BONA
(LUGLIO 1916) Decisamente un reperto importante il libretto di una trentina di pagine stampato dalla bellunese tipografia Piave nel maggio del 1974, con il quale Serafino Bortoli (assistito dal fratello Attilio) descrive la sua personale esperienza relativa a: “La fase conclusiva della conquista del Castelletto 11-13 luglio 1916” (e rivendica, per sé e per gli altri tre componenti la pattuglia, l’espugnazione dell’ultimo caposaldo austriaco sul Castelletto, fornendo ampia documentazione a supporto delle sue affermazioni, come una lettera datata 5 gennaio 1972, dell’avvocato Renzo Cajani, che all’epoca dei fatti comandava la 77ª compagnia del “Belluno”, che conferma l’accaduto). Riferisce un episodio della guerra di montagna degli anni 1915-18 ricordando che: “Quella che oggi è divenuta la strada del diletto per milioni di persone di tutto il mondo, che vengono ad ammirare le nostre Dolomiti, è stata negli anni della prima guerra mondiale il Calvario dei nostri Alpini. E’ stata la Via Crucis per la salita a quel Golgota che sono le Tofane”. Ma vediamo innanzi tutto chi era Serafino Bortoli: nato il 3 maggio 1891 a Feder di Canale d’Agordo (e morto di vecchiaia l’1 agosto 1978 a Falcade dove riposa all’ombra delle sue montagne nel cimitero di Caviola), era figlio del maestro elementare Celeste Bortoli e di Giuditta Piaz che avevano ben dodici figli così che anche il nostro deve contribuire al sostegno della famiglia e – come si legge nel sito frontedolomitico.it – emigra alla ricerca di un lavoro. In Svizzera viene assunto come apprendista decoratore, forte della sua grande passione per il disegno manifestata già alle elementari. All’età di 20 anni torna in Italia per il servizio militare di leva e aggregato al battaglione “Feltre” parte per la Libia. Il 28 settembre 1912, col grado di caporale approda in Tripolitania dove le penne nere del “Feltre” e quelle del “Tolmezzo” danno vita ad un reggimento speciale agli ordini dell’allora colonnello Antonio Cantore, e si trasferiscono nella zona di Tripoli. Ultimato il periodo di leva torna al suo lavoro ma il 20 aprile del 1915 lo troviamo al Comando deposito del 7. Alpini di Belluno, assegnato alla 77. Compagnia ed inviato in zona Fedaia-Padon dove riceve il battesimo del fuoco. Il 20 luglio giunge la tragica notizia della morte del generale Cantore e l’indomani la 77. Compagnia del “Belluno” assieme al 45. Fanteria, occupa alcune posizioni sulla Tofana I. Nel successivo assalto contro gli jäger bavarsi si merita un encomio solenne con la motivazione: “Nell’azione del 2 agosto 1915 a Forcella Fontananegra rimaneva molte ore in una posizione battuta dal fuoco nemico, contribuendo efficacemente con tiri aggiustati ad impedire ogni movimento offensivo ad un gruppo di nemici annidati fra i sassi”. Gravi le perdite per il “Belluno” ma la “maledetta forcella è conquistata”. Per una nuova sortita ottiene un altro encomio solenne poi commutato in Croce di guerra. Il 25 novembre Bortoli segue la sua compagnia in Val Cordevole dove partecipa alle azioni sul Col di Lana rimanendovi fino alla vigilia di Natale. Rientrati a Col, vicino a Cortina, gli alpini della 77. vengono impiegati nelle operazioni di preparazione della “mina del Castelletto” che portano, alla fine dei lavori, allo scavo di 2200 metri cubi di roccia. La mina: 35 tonnellate di gelatina, esplode alle 3.40 dell’11 luglio del 1916. Serafino Bortoli è tra i protagonisti delle successive fasi di conquista delle postazioni nemiche devastate dall’esplosione. Con la sua squadra deve percorrere la galleria fino al foro di sfiato e da lì, salendo per il Camino dei Cappelli, raggiungere le creste del Castelletto. Avvenuto lo scoppio, entra fra i primi con la lampada in mano, ma dopo una ventina di metri sviene: s ono gli effetti del “pojan”, il malore che coglie i minatori quando respirano i gas prodotti dalla deflagrazione degli esplosivi. Serafino rotola in basso ma, trascinato prontamente all’aperto, in breve tempo si riprende. Il giorno dopo è già in piena forma e il suo comandante, il capitano Renzo Cajani, gli chiede di tentare la salita al Castelletto lungo il canalone esterno. Viene organizzata una pattuglia di soli quattro uomini perché, come avverte lui stesso, una squadra più numerosa avrebbe certamente maggiori difficoltà nel salire lungo quella ripida scarpata ricoperta dagli instabili detriti di roccia frantumata. Assieme al caporalmaggiore Bortoli ci sono Luigi Comiotto da Sedico, Giovanni Andrich da Canale d’Agordo e Giovanni Embizeni. La salita inizia verso le 23 del 12 luglio; al più piccolo urto di un fucile contro la roccia, o al rotolare di una pietra, gli alpini si bloccano per dare la sensazione, se vi fosse all’ascolto una sentinella, che il rumore è stato causato dall’assestamento di qualche masso. Finalmente, verso le quattro di mattina, la pattuglia arriva in cresta e si trova davanti a un ammasso di rocce sconvolte; una figura si muove, gli alpini lanciano due bombe a mano e vedono l’ombra stramazzare al suolo. Da una caverna lì vicino escono alcuni kaiserjäger sparando alla cieca. I quattro assalitori rispondono al fuoco e Bortoli urla dei comandi per dare l’impressione che gli attaccanti sono numerosi. Gli austriaci si ritirano in fretta nel cunicolo e da lì iniziano a sparare con una mitragliatrice. Due alpini salgono, non visti, al di sopra dell’entrata e gettano all’interno alcune bombe a mano. I difensori si rintanano nella caverna e Comiotto, a carponi, si fa avanti impossessandosi della mitragliatrice. Bortoli parla il tedesco abbastanza bene e urla ai difensori di arrendersi, minacciando altrimenti di lanciare in quel buco delle bombe a gas asfissiante. Qualcuno si fa avanti emergendo dal buio con le mani alzate, ma Bortoli gli intima di tornare indietro, e che a presentarsi sia il solo comandante: non vuole che i tedeschi scoprano di aver a che fare solo con una manciata di uomini. Il comandante si presenta e in italiano dice: “Prima nemici e ora amici” e porge la mano per farsela stringere. Tolto il dito dal grilletto, Bortoli ricambia il saluto e si fa consegnare la rivoltella intimando all’ufficiale di far uscire i suoi uomini, uno ad uno, con le mani alzate, a distanza di qualche minuto l’uno dall’altro. Tre alpini restano presso l’uscita della caverna e l’altro accompagna ciascun prigioniero avviandolo verso il canalone lungo il quale stanno già salendo altri alpini. Alla fine saranno evacuati ben 40 austriaci tra i quali due ufficiali. Il bottino ammonterà a una mitragliatrice con buona scorta di munizioni, un lanciabombe con numerosi colpi e una quarantina di cassette di bombe a mano. Qualche giorno più tardi, a Vervei, i quattro protagonisti dell’impresa sono decorati con medaglie al valor militare: d’argento al capo pattuglia e di bronzo agli altri. La motivazione per la medaglia assegnata a Serafino Bortoli è proposta dal suo steso comandante, il capitano Cajani: “Fu tra i primi a raggiungere la sella tra il Castelletto e la Tofana I distinguendosi per attività e coraggio; fu quindi anima e guida di una pattuglia di 4 uomini che si spinsero audacemente sopra l’ingresso della caverna occupata dal nemico, obbligandolo alla resa e traendo prigionieri ben 40 uomini tra i quali 2 ufficiali. Castelletto Tofana I, 13 luglio 1916”. Il colonnello Tarditi appunta al petto degli altri coraggiosi la medaglia di bronzo mentre il capitano, fiero di quegli uomini, ad alta voce ripete per ciascuno di loro la stessa motivazione: “Volontariamente fece parte di una pattuglia che si spinse audacemente sopra l’ingresso di una caverna occupata dal nemico obbligandolo alla resa e traendo ben quaranta prigionieri, due dei quali ufficiali. Castelletto, 11-13 luglio 1916”. In considerazione della sua esperienza e delle capacità dimostrate, il 13 agosto del 1916 Bortoli è promosso al grado di sergente e diventa l’uomo di fiducia del suo comandante, affiancandolo nei successivi avvenimenti che coinvolgono la 77ª compagnia del “Belluno”, fino alla data del 3 luglio del 1917 quando l’intero battaglione lascia la Val Costeana per trasferirsi nella zona della II Armata, nella valle dell’Isonzo, per partecipare all’offensiva della Baisizza. Per le gravi conseguenze di una ferita alla mano, gli viene riconosciuta l’invalidità permanente e dopo una licenza straordinaria è inviato in congedo assoluto. L’11 settembre del 1919 mette su famiglia sposando Maria De Biasio e torna a vivere in Val del Biois, a Caviola.
NELLE FOTO (riproduzioni da “La fase conclusiva della conquista del Castelletto”; siti: frontedolomitico.it, turismofvg.it, storiaememoriadibologna, Google): Serafino Bortoli fra i protagonisti della conquista del Castelletto sulla Tofana I; la copertina della pubblicazione da lui curata; Forcella Col de Bos con il Castelletto versante nord; alpino del battaglione “Belluno” fatto prigioniero nell’Isonzo nell’ottobre 1917; reclute della classe 1891 del “Belluno” alla guerra di Libia; le Tofane con il Castelletto; interrogatorio di prigionieri da parte del comandante della 77. Compagnia dopo la conquista della posizione; graduati della 77. Compagnia a riposo a Verven nel luglio 1916 dopo la storica impresa; superstiti del battaglione “Belluno” nel 50. anniversario della mina (11 luglio 1916); 3 luglio 1966: messa al campo 50 anni dopo la presa del Castelletto; gli effetti della tremenda esplosione della mina; le vittime non mancarono…; copertina di un’altra pubblicazione sul famoso episodio bellico: “La terra sembrava tremare” di Enrico Varagnolo.