di Tiziano De Col
Prefazione: Quest’anno cade il 320° anniversario della Boa di La Valle Agordina. In due successive ondate distanti qualche giorno una dall’altra, provocò la perdita “di persone al n° di 41, Tabiadi da feno n°54, case Dominicali con gli habitanti n° 12, mollini, seghe, et altri edificy n°14, campi e pradi con Arbori fruttiferi et infruttiferi numero infinito, Animali grossi e minuti quantità rilevante e di qualche considerazione. Ma quello che più importa Due Chiese con il titolare di Santo Michiel Arcangelo, et la B.V. di Loretto con tabernacoli, suppellettili……. “. L’antica chiesa, con cappella e canoniche, sorgevano nel luogo dove oggi c’è il cimitero. Nel 1958, in occasione del 250° anniversario della consacrazione della nuova chiesa, Don Rinaldo De Menech, allora Parroco del paese, diede alle stampe un opuscolo che distribuì a tutte le famiglie, riportante la Cronaca della Boa del 1701 tratta da un manoscritto di Giacomo Simonet il quale nacque a Lantrago tra il 1675 ed il 1680 come riportato dal dott. Corrado Da Roit, che trattò il tema della Boa sul libro Malore a La Val (Nuovi Sentieri 1982) . La signora Maria Del Din Dall’Armi riportò la cronaca nel suo Dissesti idrogeologici ed eventi calamitosi nell’Agordino dall’anno 1000 al 1966 e lo stesso Don Ferdinando Tamis la trattò compiutamente nella sua Storia dell’Agordino. Noi vorremmo ricordare, tramite una serie di articoli, quella sciagura e portarla come monito alla gente che vive in montagna ricordando che un tal genere di accadimento non è purtroppo irripetibile.
PRIMA PARTE
Definizione: Con il termine Boa, nella lingua locale, si definisce una grande massa di acqua, terra e macigni; il suo movimento può essere più o meno veloce in rapporto alla quantità d’acqua che la mette in movimento.
La Boa è normalmente originata da una frana che, creando uno sbarramento nell’alveo del torrente, consente un accumulo più o meno grande di acqua, il quale aumentando fa collassare la diga e crea un’onda di piena che travolge tutto ciò che trova in alveo portandolo con sé ed aumentando così, con macigni, terra ed alberi, la sua furia distruttrice.
Così fu che, nel 1701, un modesto torrente che nei periodi di magra riesce a malapena a far girare la ruota di un mulino, in condizioni eccezionali scatenò l’inferno.
Collocazione geografica e geologica: Il paese di La Valle Agordina è bagnato da due torrenti: il Bordina (o Boa) ed il Missiaga (anticamente Missaga). Mentre il Bordina nasce nella zona di Malga Moschesin, scorre ai piedi del Monte Celo e lambisce le frazioni di Conaggia, Torsas, Gaidon,Ronche per poi immettersi nel Cordevole alle Campe, il Missiaga nasce ai piedi del Monte Tamer e della Cima del Castello, taglia in due il paese passando in prossimità delle frazioni di Cugnago, Fades, Chiesa e Lantrago per poi immettersi nel Cordevole di fronte al villaggio di Ponte Alto .
Quando a La Valle Agordina di parla di Boa, la mente corre subito al luogo ora chiamato La Boa. Questa zona è situata a monte dell’abitato di Conaggia, dalla zona del campo sportivo compreso, verso est, verso le sorgenti del torrente Bordina. Anche il torrente stesso viene chiamato La Boa (al posto di Bordina) dagli abitanti di Conaggia e dalla quasi totalità dei lavallesi. L’area fu oggetto di una Boa nel 1888 e tutta la zona esondata dal torrente e detriti prese appunto il nome di Boa. Quando si parla della Boa, è quindi logico pensare a questo luogo, mentre invece la grande Boa del 1701 si verificò sul torrente Missiaga e provocò la morte di 41 persone, niente a che vedere con la Boa di Conaggia del 1888 quindi, che peraltro non provocò alcuna vittima anche se qualche relazione tecnica recente le attribuisce i 41 morti della Boa del 1701 verificatasi sul Missiaga.
Nella fotografia ( foto n°1) scattata da Rivamonte ed in quella ripresa dalla località Prus (foto n° 3) è stata riportata con le lettere A e B la zona dalla quale si staccò la massa franosa; è stata delimitata in due sezioni perché la parte A fu oggetto di una nuova Boa nel 1791 – 1792 (circa un secolo dopo la grande Boa del 1701), mentre la parte B si mise in movimento nell’autunno 1888 (mentre la sopracitata Boa di Conaggia avvenne nella primavera dello stesso anno), in seguito la frana si assestò pressoché nella posizione attuale senza sbarrare il corso del torrente e senza così promuovere la creazione di una nuova Boa. Nei Catastici e negli Estimi antecedenti al 1701 la zona franata è denominata pradi di Nadera, pradi di Tamer, pradi di Rive, pradi della Rova. La zona denominata Rova o Roa non deve essere confusa con altri toponimi Roa presenti in altri comuni e tanto meno con l’idronimo Roa. Il termine Roa in passato definiva un grande insieme di ghiaioni ed acque o meglio ghiaioni pervasi da acque, mentre con il termine grava si definiva la masnadura de creppa ossia ghiaioni non percorsi o percorsi solo in occasioni particolari da acque
Sulla fotografia dell’intera alta val Missiaga riusciamo a distinguere, sulla sinistra di chi osserva, l’ampia zona di frana contornata dalla linea tratteggiata esterna, una gran parte della frana rimane nascosta nel fondovalle a sinistra. La Boa del 1701 si staccò (foto n° 2) presumibilmente da A (Busa dela Leida = Valle della Melma)e trascinò con sé tutto il versante sottostante fino ad arrestarsi tra F (attualmente località Rive) e G ( Castelet) ove dopo l’alluvione del 1966 sono state costruite due grandi briglie per contenere il piede dell’ammasso detritico ed evitare fenomeni di incisione dell’alveo che avrebbero sicuramente abbassato notevolmente l’alveo provocando fenomeni importanti di scalzamento al piede dell’ammasso detritico. La zona B (Crepe Rote) franò catastroficamente 90 anni dopo, nel 1791. Massi ciclopici precipitarono nell’alveo del torrente Missiaga sempre in prossimità di F (Rive) ed insieme allo sfasciume di roccia sbarrarono il corso del torrente provocando dei piccoli laghetti che collassarono l’anno successivo 1792 provocando la morte di tre persone che si trovavano più a valle a far legna. In H si trova un grosso sperone roccioso in destra Missiaga (Crep Vert ) che restringe l’alveo creando un imbuto che trattiene tutto il materiale più a monte, sia quello in alveo che quello sul versante. Nel 1888 si avviò un nuovo fronte di frana nella zona superiore a D (Anterlade) , il materiale si coricò nell’alveo creando un a collina nella zona tra H (Crep Vert) e L (La Roa). La stessa situazione si ha in G (Castelet) dove uno sperone roccioso restringe l’alveo contro il versante roccioso prospiciente, creando così un accumulo di materiale detritico in alvo con conseguente rapido innalzamento dell’alveo stesso. In questa zona, come in H (Crep Vert) l’accumulo detritico è tale che alla strada risalente silvo pastorale l’alveo sono stati imposti una serie di tornanti. Se la parte sinistra della foto (destra idrografica) ha una così grande e ripida copertura detritica (dolomia) sovrastante un substrato scarsamente permeabile marnoso arenaceo (strati di La Valle e strati di S.Cassiano) che ne accentua l’instabilità, così il versante destro della foto (sinistra idrografica) è formato dai tufi verdastri degli Strati di Livinnallongo che si immergono nell’alveo del torrente Missiaga, questa linea, lungo la quale si è impostato l’alveo del torrente è chiamata Linea del Missiaga ed è parallela alla più importante Linea della Valsugana che si snoda ai piedi del Monte Celo.
In questa valle a V con una parete ben solida ed una estremamente instabile, quest’ultima rotta nella sua continuità trasversale dai due speroni di roccia sopra citati che fungono da imbuto, il materiale detritico, sia quello proveniente dall’alta valle che quello instabile sul pendio laterale, tendono a creare degli accumuli che, in caso di grandi piene (o peggio Boe) possono creare dei pericolosi accumuli (peraltro in parte già esistenti). Durante l’alluvione del 1966 dava molta preoccupazione la stabilità dei versanti e dell’alveo stesso sia in G che in H in considerazione che l’accumulo creatosi in alveo a monte di H nel 1888 è ancora presente con la sua testata in alveo e che un suo eventuale scalzamento al piede potrebbe rimetterlo completamente in moto.
Bibliografia e note: Informatione (senza data) inviata dalla Regola della Val alla Dominante (Serenissima) Corrado Da Roit, Malore a La Val (Nuovi sentieri 1982) ; Giacomo Simonet pag. 10 La frazione Chiesa non esisteva al tempo dei fatti, crebbe infatti pian piano attorno alla nuova Chiesa e successivamente nell’alveo del torrente Missiaga. Una definizione sulla differenza tra rova e grava si trova nelle deposizioni di alcuni testimoni negli Atti processuali della causa tra La Regola della Val e la Regola Grande d’Agort per la confinazione sul Monte Duràn (1722-1725). Fotografia scattata dalla curva precedente il tornante di Prus Corrado Da Roit, o.c.; La frana di Rive pag.36 Corrado Friz ed altri, Risorse idriche sotterranee di un bacino campione in ambiente dolomitico (Bacino del torrente Missiaga-Belluno); Padova 1983
SECONDA PARTE
I disegni pubblicati nell’articolo provengono da un manoscritto anonimo del 1700 donato da Don Giacomo Mezzacasa a Don Ferdinando Tamis.(fotoriproduzione Tiziano De Col)
Memoria della Boa
Scritta da Giacomo Simonetti e copiata da Giacomo De Zordi Sabbe, e trascritta da suo nipote Giacomo Rosson l’anno 1838 e scritta di nuovo da De Col Maria fu Giuseppe Biote l’anno 1889. (Quest’ultima era pronipote di Giacomo De Zordi).
Disegni tratti dal manoscritto anonimo
Padrone e sovrano di tutte le cose, visibili ed invisibili, che regge e governa, che premia e castiga con somma Giustizia.
Volendo io descrivere il flagello che Iddio mandò nella Comune di La Valle , io credo che non sarà successo quasi mai una cosa tale né vorrà gnanche che avesse a succedere in verun luogo un castigo di tal genere nell’avvenire. Dunque mi inchino davanti al mio Dio e lo supplico a volermi donar grazia di poter col mio povero talento darvi a conoscere e con il vostro agiuto accompagnarmi nel racconto con successo e spettacolo. Oh quanto siete giusto, o Signore ! Mai comparve alla meraviglia di questo disfortunato Comune di La Valle, e che sia mai avvenuto ci racconta Giacomo De Zordi, che di anni 12 principiò ad andare a Bologna, e parlando con omini di carattere e diverse persone si dilettava di ragionare di questi spaventevoli successi; ma massime fino allora aveva mai sentito un caso simili, e preghiamo pure Iddio a volerne preservare da simili castighi, che è impossibile a intendere massime a certi mondani libertini del secolo d’adesso, che il rammemorare queste cose fa loro nausea e fastidio, quello che non faceva a quelli discrgraziati d’allora, che molti per lo spavento avevano perduto perfino li sensi e divenuti quasi fuori di sé stessi dallo spavento.
Vivendo allora la felice memoria di S:S. Papa Urbano IX diceva alla fine di quel secolo allora ormai passato, cioè nel 1699 ovvero nel principio dell’anno venturo 1700 cioè l’anno 1701 avria avuto caro di essere al mondo ma non di essere Pontefice, che diceva che doveva succedere qualche gran calamità di guerra e altri disagi, il che si verificò: avvenne una guerra sotto Mantova e per Milano fra due grandissime potenze, cioè il gran Re di Francia e la Corona Imperiale. Da noi non è stata la guerra li nostri castighi, ma come piace al nostro sommo Creatore , che di quando in quando vuole risvegliare le sue creature con qualche castigo, giusta quando dimenticano il loro Dio, che vorrebbe salvarci tutti e che per il grande amore che ha verso di noi, discese dal cielo e si fece uomo e ha patito una passione dolorosa e una morte crudele, onde ci è di bisogno che noi ancora per suo amore sopportiamo volentieri le disgrazie che ci manda se vogliamo essere premiati nell’altra vita in Paradiso, se per sua misericordia ci farà degni.
Nell’anno dell’Incarnazione di nostro Signore Gesù Cristo 1701 sotto il Pontificato di Clemente XI, e che governava la città di Belluno Andrea Tiepolo, e Vescovo Giovanni Francesco Bembo, in quell’anno nel tempo d’inverno cascò pochissima neve per tutta quella invernata nel principio di quella primavera. Poi alli 8 (otto) di Aprile incominciò a venire molta neve e continuò a fioccare in sino alli 15 (quindici) di detto mese, e alla montagna ne gera più di due passi , e così non potendo più sopportare il terreno per essere anche la stagione in primavera, si che vedendo il popolo di La Valle che l’acqua chiamata Missiaga era così grande e intorbidita che faceva maraviglia a ciascheduno che la guardava. E in essa scorreva e menava legni di tabià ed arbori ed altre materia, ma non pensavano quello che poteva succedere e che è successo. Cosicchè dopo, l’acqua conduceva questi legnami e la gente andava a raccoglierli. Essendo questo tempo giorni di giubileo, onde il giorno 11 (undici) Aprile alle ore 12 (dodici) di sera in giorno di venerdì, essendo il tempo piovoso ed il terreno gonfio d’acqua e dalla neve, videro una impetuosa “bova”(frana) mista di neve e terra ed arbori che veniva per detta acqua detta Missiaga, e tutto il popolo si credeva tutti morti e tutti ad alta voce gridavano misericordia per il gran spavento che avevano. La “bova” era alta più di 8 (otto) passi , e poi veniva un gran vento innanzi alla materia, il quale spiantava li alberi fruttiferi e li più grandi nogari che si poteva vedere li sradicava come se fossero paglia.
In quel medesimo tempo fu anche morto 48 persone tra uomini, donne e fanciulli; di più dispiantava e sotterrava li edifizi che erano in detta acqua, il primo dei quali era il follo ed il molino dei follador, nella villa di Cugnago: questo era di Andrea De Cassan. In fine del luogo così detto Cambrusc vi era una sega ad acqua di Piero Carafia con tabià e casa di Bartolomeo del Valentin Monego con una sua sorella e questa restò morta sotto la materia ed esso potè scappare e salvarsi. E poi vi era un molino di uno chiamato Pietro Zart e il medesimo aveva un piccolo fanciullo il quale gridava: “Padre, scampemo, scampemo, se no siamo morti”. Questo aveva quattro figli con alquanti pezzi di campo e cavallo e casa con le loro sostanze e vi è rimasto solo il padre con un figlio senza più nessuna cosa e quasi ignudi. Un altro molino di Giovanni Battista Monego, con la morte di una sua nuora e di un fanciullo con tutte le loro sostanze li quali erano dirimpetto a Fadès . In cima della villa era un molino di Pietro De Col con casa e tabià e cavallo e porci, e sua moglie è stata due ore sepolta sotto la “bova” e poi con l’ajuto di Dio e di suo fratello fu liberata; fu maccata un poco alle gambe ma al resto della vita non si fece nessun male; il peggio era che si trovava vicino al parto e questo era in cao alla villa di Fadès. Quivi vi era anche una fusina di uno così detto Giovanni Friz con casa tabià e stalla di Simeone q.Zordi Simonetti. Dritto al campo S.Mechiele eravi la casa di Matteo Dall’Acqua con tutta la sua roba e sostanze e in quell’istesso luogo eravi la casa di Giacomo Dall’Acqua con tutte le loro sostanze e questo aveva anche un molino, e questo era dritto la casa del Rabul e la casa del S.Corte con tre fanciulli. Dritto la casa di Pietro Crose era il molino di Florian De Col da Torsàs, ed esso restò privo di tutte le sue sostanze. Giù dritto la casa del Coda era il molino del fu Matteo De Cassan, detto Suic, e poi eravi il tabià del fu Michiel Zos con campi e prati e alberi ancora, massime campi in gran quantità e non è possibile dare ad intendere il gran luogo che restò sepolto, ma vi darò li contrassegni e la lontananza che v’era dall’acqua, cioè il suo canale, da Cugnago a l’acqua due tiri di fucile, da Fadès a l’acqua due tiri di sasso. In dritto a Crostolin eravi una sega di Giuseppe Da Ronche e molino chiamato del Lovo con una donna e due fanciulle e tabià e stalla e animali e altre facoltà. A due ore di notte la “bova” è arrivata al fiume così detto Cordègol con gran spavento di quelli di Ponte Alto. La notte seguente quelli di La Valle tutti spaventati scapparono ed avevano abbandonato le proprie case, con li fanciulli in braccio recitando il “Miserere” e il Rosario e le Litanie raccomandandosi a Dio e a Maria e salirono su per li monti. Quelli di Cugnago gridavano ad alta voce “Scampa, Scampa” a quelli delli altri villaggi. Quelli di Fadès abitavano su per li Regolei e il simile quelli di Lantrago alla Forcelletta e su in Col dei Zos, i quali per il gran spasimo non si vedevano sicuri gnanche qui, quivi stettero per lo spazio di dieci (dieci) giorni prima di ritornare nelle loro case; appena andava a prendersi da mangiare e poi correva senza serrare neppure le porte. Lasciava in abbandono le bestie, le quali giacevano morte su li monti e nelle stalle. Per l’acqua da farsi da mangiare si serviva di quella di Lac, cioè qua di Lantrago, ai pie’ de li colli era a Regolei e quelli di Lantrago similmente a quelli di Cugnago su a Zeidarif, ossia la piaia, e quelli di Conaja entro a Cogol, quelli di Torsàs su per la montagna, e quelli di Gaidon fuori per le Colle e fuori a Roit. Il giorno 15 (quindici) Aprile andarono a cercare li morti ma si trovarono solo teste e gambe e busti, ma nessuno intero, ma bensì tutti in pezzi, e non si conosceva più da uomini o donne. Fecero poi venire la Giustizia di Belluno, due o tre volte; ma poi vedendo che la spesa andava troppo alta si fece venire un ordine da Belluno, di farsi venire il Meriga a vedere li morti, e ne hanno trovato fino a Burbàn . Il popolo allora principiò a pensare dove si partisse tanta materia e li cadaveri insieme . E allora il popolo confuso e tramortito com’era non poteva neppure andare a vedere dove si partisse tanta materia per la gran neve che era ancora in montagna. Ma i più coraggiosi si sforzarono di andare a vedere e trovarono che mancavano i prati di Nadera e Tamer e Rive e fu giudicato che sia mancato per più di 200 carri di fieno, andato tutto in rovina. Per 12 gioni restarono su per li colli e monti e neppur qui non si vedevano sicuri e non andavano più ad abitare le proprie case. Allora è venuto il Reverendissimo don Giovanni, nobile Miari Bellunese, Arcidiacono in Agordo , venne a La Valle a consolare il popolo, lo esortò a ritornare nelle proprie case e così la maggior parte ritornarono. Ma li fanciulli sui 8 anni erano tanto impauriti che non si poteva più ridurli nelle ville. Li tre villaggi di qua, cioè Cugnago, Fadès e Lantrago non potevano più andare alla Chiesa e a Messa perché affondavano nella “bova” e disordinata materia di neve e terra mista. Tuttavia s’ingegnavano con mettere tavole una dietro l’altra e così andavano a Messa e alle funzioni. Di più era allora il tempo di seminare ma ohimè!………nessuno si curava più di seminare le loro biade. Li sacerdoti poi di La Valle, cioè il Reverendo don Giovanni Domenico Apollonio degnissimo Parroco di questo Comune ed il Degnissimo Mansionario delle Anime don Desiderio Taio ed il Degnissimo don Bartolomeo Marchioni, Cappellano.
– Con il termine Comune si intendeva la comunità degli abitanti e non l’attuale Comune nato nel 1800. Al tempo l’entità amministrativa era la Regola de La Val ( talvolta citata come Regola della Val o Regola della Valle)- Regulam Vallis.
– Il passo bellunese corrisponde a 175 centimetri
– al tempo era chiamata Missaga
– per la misura del passo vedi nota n° 2
– altre fonti parlano di 41 persone morte complessivamente tra la prima e la seconda “bova”
– nel luogo dove ora si trovano i civici 1, 2, 3, 4 ed altri della frazione di Cugnago, in prossimità del ponte
– aprossimativamente in un luogo vicino all’attuale municipio, accanto all’acqua
– Meriga era il capo Regola
– Bribano
– ovviamente il popolo della piana bellunese
TERZA PARTE
I disegni pubblicati nell’articolo provengono da un manoscritto anonimo del 1700 donato da Don Giacomo Mezzacasa a Don Ferdinando Tamis.(fotoriproduzione Tiziano De Col)
Memoria della Boa Scritta da Giacomo Simonetti e copiata da Giacomo De Zordi Sabbe, e trascritta da suo nipote Giacomo Rosson l’anno 1838 e scritta di nuovo da De Col Maria fu Giuseppe Biote l’anno 1889. (Quest’ultima era pronipote di Giacomo De Zordi).
SI TRATTA DELLA NOVA ROVINA CHE SPIANTO’ LA CHIESA E LE DUE CANONICHE. (disegno n.1)
Ma il Dio grande padrone dell’universo mondo volle compiere il destinato castigo e mandò pure un altro castigo e flagello assai più orribile del primo. Dunque li 22 Aprile in giorno di martedì alle ore tre di notte, mentre tutti erano a letto si sentì un terribile terremoto il quale fece tremare tutte le case, e cascavano li coperti delle case sicchè tutti spasimati si raccomandavano a Dio, si levarono dal letto e cominciarono a scappare di nuovo sulli monti vicini. Sentivano che la bova correva di continuo, con gran romore ed urli spasimevoli, che si credeva si subissasse non solo La Valle, ma il mondo intero, e lo sventurato popolo passò tutta la notte in orazione. Giunta poi la mattina di Mercoledì incominciarono a guardar verso la Chiesa di San Michele Arcangelo, ma per via di caligine non potevano veder il loco e neppure si vedevano le Ville, quindi venuta l’ora dell’Avemaria e non sentendo suonarla dicevano tra loro: “ che cosa potrà essere che in questo giorno non si sentono suonare le Avemarie ?”. Ma venuta poi un’ora di giorno cessò la nebbia. Oh! Videro il dolorosissimo e spaventosissimo successo: che quel Preziosissimo Tesoro è rimasto vittima della rovina insieme con le due Canoniche dei preti e dei nonzoli, e la deliciosissima Cappellina di Loreto, dispiantate al tutto d’ogni cosa. Onde il popolo cominciò a piangere amaramente e gridar misericordia vedendosi privo di così bel Santuario e del rimanente. Massime quelli della Villa di Conaggia subito che hanno udito il rumore lasciato da parte il timore e vestiti di zelo e coraggio si fecero incontro alla Chiesa, videro il gran flagello e udirono una lamentevole voce che gridava: “ ohe di Conaggia, aiuto, aiuto se no son morto! “; e si avvicinarono e trovarono essere don Bartolomeo Marchioni quasi mezzo sotto la rovina. Simile era venuto alla serva del Rv.don Desiderio Taio il vento l’aveva portata via senza essere neppure mossa dal letto e portata giù nella strada alquanti passi lontano dalla Canonica e anche dalla rovina e senza nessun danno, essa del continuo chiamava il suo padrone, ma indarno, perché il campanile fu rovesciato sopra la sua camera e fu trovato morto. Menarono quindi il primo prete don Bartolomeo Marchioni su a Maten e fu medicato perché era tutto ammaccato.
SI LEGGE DI QUANDO FU RITROVATO IL CORPO MORTO DEL Rv. DON DESIDERIO TAIO. (disegno n.2)
La mattina seguenta il popolo della Villa di Conaggia andò in cerca delle cose perdute della chiesa e particolarmente del sacerdote don Desiderio Taio e fu data parte in Agordo della sudetta disgrazia e della morte del prete. Quelli vennero alla Valle per levar processionalmente il cadavere, ma non potendo venir per la strada solita per via della rovina convenne andar per la strada verso le fucine nella Val Imperina e fuori per Canale fino al primo ponte poi girarono il ponte detto di S.Martin e furono venuti per il loco detto Roit e poi per la strada di Scolon e per la montagna arrivarono finalmente pieni di ammirazione al loco della rovinata Chiesa. Quivi levarono il morto e per non far la seconda volta la strada lunga si ingegnarono di porre delle tolle sopra la rovina una seguente l’altra e così abbreviarono il tragitto e portarono il cadavere nel Cemeterio d’Agordo. Furono poi trovate tutte e tre le campane, due sane e una rotta e quella mezzana era ferma sopra un pomaro poco discosto dal loco dove fu trovato il prete morto, che alquanto tempo dopo fu messa una croce per memoria e sufragio del sudetto sacerdote. Fu poi trovato il nicchio dove stava la statuina della B.Vergine di Loreto, senza essere però lordata, tutta bella e intiera come se fosse stata messa al sicuro, la qual dopo per qualche tempo fu messa sull’altar maggiore nella piccola cappela, che il popolo si fabbricò per celebrar Messa fino che potessero frabbricarne una nova.
Il popolo poi attendeva a traslocare le sue sostanze lungi dalle Ville perché non si vedeva sicuro.
Il Reverendissimo don Giovanni Apolonia Parroco vedendo il caso strano mandò subito un messo a Cividal di Belluno a notificare all’ “Illustrissimo e Reverendissimo Monsignor Giovanni Francesco Bembo”, che erano subissate le due Canoniche e la Chiesa Parrocchiale e la Cappellina di Loreto e di più che si era smarrito il Divinissimo Sacramento dell’Eucarestia. Sicchè il Vescovo udendo quest’infausta novella non potè trattener le lagrime, e piangeva tanto che non poteva darsi pace intendendo una così strana rovina. Sicchè scrisse presto in Agordo alli Rev.Parrochi che salissero adirettura il sacro Pergamo e che raccomandassero caldamente a quel popolo li sfortunati parrocchiani di Valle, ed esortarli ad aiutar quanto potevano a quanto loro era necessario, come poi fecero quelli. Il banditore fu il Reverendissimo Signor Arcidiacono sopranominato di cognome Miari. Quindi il Signor Arcidiacono comandò che quelli dovessero digiunare tre dì continui fuor che quelli che erano dispensati, e ciò in memoria del S.Sepolcro, onde pregar Iddio a conceder grazia di poter ritrovare lo smarrito S.S. Sacramento; di più comandò atutte le Comuni sopra Castello e sotto Chiusa che dovessero concorrer con le loro forze ad aiutar per rintracciar il sopradetto Tesoro smarito e altre cose ancora.
SI DICE DI QUANDO VENNERO PROCESSIONALMENTE QUELLI DI AGORDO ALLA VALLE E ALTRO (disegno n.3)
Prima d’innoltrarmi più d’avantaggio nella narrazione convien dire quel che la medesima notte rivinò ancor la rovina. Poiché dopo spiantata la Chiesa la materia si fece da vicino alla Villa di Torsàs, venne verso la casa detta del Coda e le rovinò un cantone di Giovanni Maria Friz; sono rimasti sotto la rovina sua moglie e due suoi putti che si credevano morti, ma con l’aiuto di Dio e degli amici furono salvati senza nessuna offesa; di più la casa del Titola fu scossa insieme con quella del Galina, le quali furono offese in più luoghi che ancora questo anno resta di provvedere ma particolarmente quella del Titolla. La rovina gli spiantò la scala per la quale entravano in casa e la famiglia sentendo quelle scosse si smarrirono dal timore e si levarono dal letto per fuggire. Ma non potendo più discendere per la scala e, perciò restarono novamente sorpresi e imbrogliati ma si pensarono di salire il tetto e fecero voce ai vicini. Costoro misero loro una scala appoggiata al tetto e così fuggirono di nottetempo. Già tutti su per li monti avendo abbandonato di nuovo le loro case si ricoverano nei primi abitacoli. Intanto li signori Parroci di Agordo incominciarono a pensare qual cosa potessero fare in ajuto della disgraziata Comune di Valle. Si stabilì coll’ajuto di Dio di radunare il popolo per venir processionalmente alla Valle onde dar la benedizione al tempo perché si aggiustasse, quindi s’inchinarono e levarono il SS. Sacramento e vennero su per loco detto Naorieghe (sopra Veran) e per Buscaz e per la strada di Col e per Vadere e Rigon fino a Zeidarif e poi a Col da Lasta sopra le Chiesurette dove presentemente si vede una croce piantata per memoria, che fecero voto di visitare ogni anno come in tal giorno per rendere grazia dell’ottenuto beneficio.
Giunti che furono, diedero la S.Benedizione col SS. Sacramento, poi il Rev.do don Bartolomeo Marchioni dottor di legge fece un bellissimo sermone per il quale il popolo gridava “ Misericordia, misericordia “. Ma ohimè! Che nel mentre che se la passavano con divozione su quel colle la rovina di bel nuovo si mosse e tornò a correr per il suo canale. Ciò vedendo il popolo tutto spaventato fuggì in su temendo di restar offeso e se ne tornò in Agordo e il misero popolo di Valle restò quasi del tutto orfano, senza chiesa, senza Secerdoti, senza il SS. Sacramento e tutti, confusi e avviliti per la loro disavventura parendo loro d’esser abbandonati.
Mio padre aveva allora l’età di 75 anni, ed essendo ancor egli come altri fuggito dalla villa si ricoverò su nella Fornàs detta del Piai che ancor presentemente si vede, ed essendo desideroso del ben del prossimo e in pari tempo timoroso che le case si sommergessero di notte tempo usciva fuori della sudetta Fornàs e mirava verso le Ville e vedendole ancora ritornava al popolo, che in quel luogo dimorava e diceva che stessero tranquilli e si facessero coraggio che le case ancor rimanevano, e così seguì per alquante notti. Il giorno 25 detto il nostro parroco don Bartolomeo Apolonia si portò alla Valle per consolare li suoi parrocchiani insieme con il Rev. Don Antonio Paradisi e venendo dalla parte di Lantrago tutti e due a cavallo, quando furono vicini alla Villa udirono una voce che diceva loro : “ fuggite, fuggite !! scampate la vitaaa!!!”, e in così udire tutti e due discesero da cavallo e fuggirono a piedi quanto potevano, perché di nuovo la Bova fece un’altra ributata.
continua – ( tutti i diritti sono riservati, in quanto parte di un volume in via di pubblicazione)
– Tutte le documentazioni immediatamente posteriori alla Boa e le lapidi poste all’esterno ed all’interno della Chiesa riportano l’avvenimento nella notte tra il 27 ed il 28 Aprile come peraltro la prima Boa, che nel manoscritto del Simonetti è datata 11 Aprile è invece riportata dalle fonti ufficiali (Suppliche della Regola alla Serenissima e Libri della antica Chiesa di S.Michiel) in data 15 Aprile.
– Un altro manoscritto, anonimo, presumibilmente del secolo XVIII (1700), dal quale sono tratte pure le illustrazioni che compaiono in questo articolo, riporta che la serva di Don Taio fu portata dal vento, nel suo letto, fino nella strada detta “di Spin”.
– Il verbo “attendeva” indica che “ era intento”, italianizzato dal dialetto “ el ghe tèndea”.
– Antico nome di Belluno
– Le notizie storiche immediatamente seguenti il fatto citano anche la Casa del Nonzolo tra le costruzioni distrutte
– la data corretta (secondo la nota 1) è il 30 Aprile, 5 giorni dopo la distruzione della Chiesa
QUARTA PARTE
I disegni pubblicati nell’articolo provengono da un manoscritto anonimo del 1700 donato da Don Giacomo Mezzacasa a Don Ferdinando Tamis.(fotoriproduzione Tiziano De Col)
Memoria della Boa
Scritta da Giacomo Simonetti e copiata da Giacomo De Zordi Sabbe, e trascritta da suo nipote Giacomo Rosson l’anno 1838 e scritta di nuovo da De Col Maria fu Giuseppe Biote l’anno 1889. (Quest’ultima era pronipote di Giacomo De Zordi).
SI DICE DI QUANDO VENNERO PROCESSIONALMENTE QUELLI DI AGORDO ALLA VALLE E ALTRO (disegno n.3)
Prima d’innoltrarmi più d’avantaggio nella narrazione convien dire quel che la medesima notte rivinò ancor la rovina. Poiché dopo spiantata la Chiesa la materia si fece da vicino alla Villa di Torsàs, venne verso la casa detta del Coda e le rovinò un cantone di Giovanni Maria Friz; sono rimasti sotto la rovina sua moglie e due suoi putti che si credevano morti, ma con l’aiuto di Dio e degli amici furono salvati senza nessuna offesa; di più la casa del Titola fu scossa insieme con quella del Galina, le quali furono offese in più luoghi che ancora questo anno resta di provvedere ma particolarmente quella del Titolla. La rovina gli spiantò la scala per la quale entravano in casa e la famiglia sentendo quelle scosse si smarrirono dal timore e si levarono dal letto per fuggire. Ma non potendo più discendere per la scala e, perciò restarono novamente sorpresi e imbrogliati ma si pensarono di salire il tetto e fecero voce ai vicini. Costoro misero loro una scala appoggiata al tetto e così fuggirono di nottetempo. Già tutti su per li monti avendo abbandonato di nuovo le loro case si ricoverano nei primi abitacoli. Intanto li signori Parroci di Agordo incominciarono a pensare qual cosa potessero fare in ajuto della disgraziata Comune di Valle. Si stabilì coll’ajuto di Dio di radunare il popolo per venir processionalmente alla Valle onde dar la benedizione al tempo perché si aggiustasse, quindi s’inchinarono e levarono il SS. Sacramento e vennero su per loco detto Naorieghe (sopra Veran) e per Buscaz e per la strada di Col e per Vadere e Rigon fino a Zeidarif e poi a Col da Lasta sopra le Chiesurette dove presentemente si vede una croce piantata per memoria, che fecero voto di visitare ogni anno come in tal giorno per rendere grazia dell’ottenuto beneficio.
Giunti che furono, diedero la S.Benedizione col SS. Sacramento, poi il Rev.do don Bartolomeo Marchioni dottor di legge fece un bellissimo srmone per il quale il popolo gridava “ Misericordia, misericordia “. Ma ohimè! Che nel mentre che se la passavano con divozione su quel colle la rovina di bel nuovo si mosse e tornò a correr per il suo canale. Ciò vedendo il popolo tutto spaventato fuggì in su temendo di restar offeso e se ne tornò in Agordo e il misero popolo di Valle restò quasi del tutto orfano, senza chiesa, senza Secerdoti, senza il SS. Sacramento e tutti, confusi e avviliti per la loro disavventura parendo loro d’esser abbandonati.
Mio padre aveva allora l’età di 75 anni, ed essendo ancor egli come altri fuggito dalla villa si ricoverò su nella Fornàs detta del Piai che ancor presentemente si vede, ed essendo desideroso del ben del prossimo e in pari tempo timoroso che le case si sommergessero di notte tempo usciva fuori della sudetta Fornàs e mirava verso le Ville e vedendole ancora ritornava al popolo, che in quel luogo dimorava e diceva che stessero tranquilli e si facessero coraggio che le case ancor rimanevano, e così seguì per alquante notti. Il giorno 25 detto il nostro parroco don Bartolomeo Apolonia si portò alla Valle per consolare li suoi parrocchiani insieme con il Rev. Don Antonio Paradisi e venendo dalla parte di Lantrago tutti e due a cavallo, quando furono vicini alla Villa udirono una voce che diceva loro : “ fuggite, fuggite !! scampate la vitaaa!!!”, e in così udire tutti e due discesero da cavallo e fuggirono a piedi quanto potevano, perché di nuovo la Bova fece un’altra ributata.
SI LEGGE DI QUANDO LI POPOLI DEL DISTRETTO TROVARONO NELLA ROVINA IL SUDETTO S.S. SACRAMENTO (disegno n.4)
Or ritorniamo alla rovinata chiesa e diciamo che dopo l’ordine avuto dall’Arcidiacono di agordo le vicine Comuni una al giorno si portarono al loco rovinato per lavorare e rivenire le cose perse della chiesa e particolarmente il S.S. Sacramento e sarà stato più di 400 persone al giorno che lavorava; e si lavorò per lo spazio di giorni undici. L’undecimo giorno, giorno nuovamente solenne e di allegrezza il popolo lavorava diligentemente, essendo anche presente i sacerdoti e un osservante d’Agordo chiamato Doroteo, il quale diceva che si lavorasse pure finchè si avesse la fortuna di trovar l’Agustissimo Sacramento e che li regalerebbe d’un paio di zecchini come poi fece. Erano presenti anche tutti li Parrochi recitando il Rosario piangenti e lacrimosi; intanto il popolo lavorava là dove prima del Cimitero si vedeva una croce piantata in un piedistallo di marmo e questo posto sopra un sasso e lavorando in quel luogo trovarono dei pezzetti del tabernacolo e ritrovatili lavorarono diligentemente, e s’incominciò a sentir una soavissima fragranza di Paradiso, e li sacerdoti intuonarono le Litanie e il Salmo “Miserere”. Intanto a lode di Dio e dei suoi Santi fu trovata la Sacra Pisside ancora chiusa e si crede nel nicchio; a ore 21 si ritrovò il Santissimo Sacramento. Subito con grande allegrezza si intonò il “Te Deum” e li sacerdoti levarono la Sacra Pisside e subito mandarono messi in Agordo a dar notizia della fortuna avuta: che alla fine s’era trovato il Santissimo Sacramento. E subito suonò le due campane che erano ancora salve.
continua – ( tutti i diritti sono riservati, in quanto parte di un volume in via di pubblicazione)
– la data corretta è il 30 Aprile, 5 giorni dopo la distruzione della Chiesa
– Le Comuni, al femminile, era il nome dato, dai francesi nei primi anni del 1800 (sec XVII, quando fu presumibilmente scritto questo testo) alle preesistenti Regole. Talora anche durante il dominio Veneziano e precedentemente, le Regole venivano chiamate Comuni (sempre al femminile) oppure Vicinìe.
– Luogo anche dell’attuale Cimitero. L’antico, distrutto dalla Boa, come di consuetudine attorniava la chiesa e veniva anche chiamato Sagrato, da cui il termine dialettale Sagrà per indicare il Cimitero. Il Cimitero poi trovò posto attorno alla chiesa attuale per poi venire nuovamente posizionato sui ruderi dell’antico e della vecchia chiesa ove si trova attualmente.
QUINTA PARTE
I disegni pubblicati nell’articolo provengono da un manoscritto anonimo del 1700 donato da Don Giacomo Mezzacasa a Don Ferdinando Tamis.(fotoriproduzione Tiziano De Col)
Memoria della Boa
Scritta da Giacomo Simonetti e copiata da Giacomo De Zordi Sabbe, e trascritta da suo nipote Giacomo Rosson l’anno 1838 e scritta di nuovo da De Col Maria fu Giuseppe Biote l’anno 1889. (Quest’ultima era pronipote di Giacomo De Zordi).
SI DISCORRONO DI QUANDO E COME FU PORTATO IL S.S. SACRAMENTO IN AGORDO (disegno n° 5)
Subito trovata la Sacra Pisside con l’Augustissimo Sacramento si diede notizia a quelli di Agordo, e li sacerdoti presenti alla rovina e a quell’ora pigliarono la Sacra Pisside e s’inviarono verso la Pieve d’Agordo e quelli d’Agordo subito avuta la novella s’inviarono con onorevolissima processione, venendo la terza volta verso la Valle, e uniti con strumenti e violini; insomma una processione d’allegrezza da una parte e dall’altra. Pensate voi dove in questo punto io m’aggirava col pensiero. Quindi quando tutto il popolo di Valle d’Agordo s’inviò con la processione, piangente e ansioso, pensando che restava del tutto orfano, cioè senza l’Augustissimo Sacramento, senza Tempio, senza sacri ministri, restava tanto afflitto e sconsolato che molti pel raccapriccio divenivano meno, e vi fu chi perdette perfino il buon senso del cervello. Quelli che si trovavano per le campagne col loro aratro lasciarono li bovi nel campo e seguirono la processione. Si racconta una meraviglia: che quelli che lasciarono l’aratro nel campo con li bovi quando furono ritornati trovarono ancora il bestiame nello stesso luogo, ne pur si trovò alcun disastro; questa senza altro è una meraviglia !
Finalmente si fece molto lavoro anche per trovare li arredi della sagristia e fornimenti della chiesa; sicchè molte cose si ritrovarono ma in pezzi e rovinate e moltissime si ritrovarono in parte e anche non si trovarono più, delle quali si dirà il nome a suo tempo quando si discorrerà dei fornimenti della chiesa e della cappellina di Loreto, per ora altro non posso dirvi se non che tutto il fin qui detto non fu se non le cose più notabili e d’altro io non mi sento capace.
SI DISCORRONO DI QUANDO E COME IL POPOLO S’INGEGNO’ DI FABBRICARSI UNA CAPPELLA PER DIR MESSA ( disegno n° 6 )
Essendo che eravamo senza chiesa e per conseguenza senza messa, e ancor vicini alla Pentecoste, si fece fabbricar una cappella fatta di legname e il giorno di Pentecoste si celebrò la S.Messa in questa chiesa. Passati già venti giorni che erano senza chiesa fecero un capitello per le campane e il cimiterio per seppellire li morti. Il popolo di La Valle allora si era radunato per trattar dove e come si potesse fabbricar una nuova chiesa, essendo diversi i pareri, perché tutte le Ville la volevano a sé vicina, vale a dire che quelli di Lantrago la volevano fora alla Forcella, Fadès su in Pecol, Cugnago su in Calòn, Conaggia entro a Invern, Torsàs là dove ella si vede, quindi essendo vicini alla Pentecoste e aspettando la visita del Vescovo si determinarono d’aspettar il suo parere. Onde venuto il Vescovo in Agordo per la Visita si portò anche alla Valle e il popolo consapevole della sua venuta andò ad incontrarlo e a domandargli la sua santa Benedizione. Il Vescovo pianse per tenerezza vedendo un popolo tribulato e umiliato, poi lo benedisse. Finalmente arrivato alla Cappella di legno si preparò per la Messa; quando fu a mezza Messa si voltò al popolo e fece un bellissimo sermone per il quale molti piangevano per tenerezza, poi si fece portare una croce di legno e diede la santa benedizione e disse queste parole:” O popolo mio vi prego a seguirmi con la vostra voce e diremo così :
ATTO DI CONTRIZIONE
Signor mio Gesù Cristo il quale ci avete con il vostro preciosissimo Sangue redenti e voleste nascer e morir per noi peccatori, sicchè se noi siamo stati per il passato indegni con ogni umiltà di cuore vi domandiamo umilmente perdono e Misericordia, Misericordia, Misericordia dei nostri falli e in solenne e fermo proponimento, o grande Iddio, di non peccar più e mormorar mai più; e facciamo voto solenne di non più ballar e non di non mai più piantare festa da ballo.”
Finite queste parole il Vescovo diede la Benedizione e poi seguitò la Messa, ma prima disse:
“Io pregherò nel Sacrificio lo Spirito Santo, il quale ci illumini dove piantar dovete la nuova chiesa, e provi ancora di scompagnarmi con le vostre orazioni, perché finita la Messa, piglierò questa croce e dove lo Spirito Santo mi ispirerà io la metterò e ivi fabbricate la vostra chiesa”.
Terminata dunque la Messa il Vescovo fece quelle cerimonie che si deve alla Croce offerendo incenso, di poi si mise in ordine la processione e s’inviarono verso la Villa di Torsàs portando il Vescovo la sudetta croce; arrivato che fu al luogo dove si vede l’Altar maggiore al presente si fermò e ivi pose in terra la croce dicendo ad alta voce:
“Vi prego, popolo, d’esser tutti contenti che io pianti qui questa croce e che piantar dovete la nuova chiesa”.
Allora il popolo rispose ad alta voce che erano tutti contenti e allora quello che ha scritto la presente memoria il quale era presente a tutte queste cose, fu il primo a piantare il pal di ferro e a fare il buco per piantar la croce là dove ora risiede l’altar maggiore. E così ad onore e gloria di Dio e della sua Madre Maria nostra Avvocata e del glorioso S.Michele Arcangelo la chiesa e casa di Dio si incominciò.
Disegno n° 8 : – da destra – schizzo della vecchia Chiesa, della Chiesuppola di legname e della Cappellina di Loreto
SESTA PARTE
Memoria della Boa
Scritta da Giacomo Simonetti e copiata da Giacomo De Zordi Sabbe, e trascritta da suo nipote Giacomo Rosson l’anno 1838 e scritta di nuovo da De Col Maria fu Giuseppe Biote l’anno 1889. (Quest’ultima era pronipote di Giacomo De Zordi).
Statua della Beata Vergine di Loreto ritrovata tra le rovine della vecchia Chiesa e della Cappella di Loreto dopo la Boa del 1701 di La Valle. Ristrutturata e conservata nel Museo La Valle.
GLI ORNAMENTI DELLA CHIESA VECCHIA
La Chiesa di S.Michele Arcangelo di Valle di Agordo, tempio veramente adornato di ogni ornamento chiaro e bello e luminoso, qual mai poteva essere già mi vedo inciampato e incapace di distinguere ogni cosa; intanto daremo principio.
Dirovvi come la pittura di San Michiele era cotanto bella e lavorata di oro finissimo, con le sue bilancie in mano e di puro oro anch’esse senza macula alcuna, che rendeva meraviglia a chiunque la considerasse. Il capo della chiesa era posto verso Matten; e due sole porte aveva quella chiesa, la maggiore verso la villa di Fades, l’altra verso la montagna dirimpetto, di fronte alla piccola chiesa di Loreto.
Cominciamo intanto dall’altar maggiore, che alla destra di San Michiele vi era la pittura di S.Pietro Apostolo, alla sinistra S.Giovanni Battista, per di sopra a queste immagini vi era il Padre Eterno e la Madonna col ciel stellato e per di sotto vi era il tabernacolo col SS. Sacramento e l’altare tutto adornato di fiori di seta col suo bellissimo paravento tutto di seta e diversi Serafini dintorno all’altare. La pittura del coro a destra era la resurrezione di Nostro Signore e San Valentino; là dove stava il cirio era la adorazione dei tre Re Magi e un gran quadro di pittura che era il Cenacolo delli Apostoli con Nostro Signore Gesù Cristo e un altro quadro era la pittura di Loreto sopra la porta della sagrestia. Vi era le sedie delli intervenienti della Chiesa, cioè Massari e Gastaldi e sopra la cuba vi era la campanella e il zocchetto di San Michiele e alla sinistra dell’altare vi era la pittura della presentazione del Re Erode con le straggi delli Innocenti. E poi vi era la pittura quando Maria Santissima presentò il suo Figliolo al tempio e poi quella di Santa Lucia, e in un quadro vi era la Madonna e Santa Rosa e San Lorenzo e San Giovanni Battista e la Natività di N.S. Gesù Cristo e sopra le sedie dei cantori vi era S.Giuseppe e la Madonna con il Bambino in braccio e montata sull’asino inviati per andare in Egitto per la persecuzione di Erode, sopra le sedie dei fabbricieri di Loreto; e il volto del coro tutto dipinto con pitture delli quattro Evangelisti e altre pitture mirabili.
Il pavimento era poi di somassa e la cuba tutta di pietra viva e le colonne lavorate in mirabile guisa. Alla sinistra vi era la porta del campanile. In chiesa vi era la pittura della SS. Trinità con Maria Vergine in atto di orare, e più basso vi era tre santi, cioè San Antonio e San Gaetano e San Macari, in atto di voler pregare, e poi la Beata Vergine che intercedeva presso a sua Divina Maestà, con le lettere di stampa che uscivano dalla sua bocca, ma tutto su di un quadro.
Sopra il coro vi era l’Annunziazione dell’Angelo Gabriele, alla sinistra vi era la Beata Vergine delle Grazie, veramente adattato e adornato di tante bellezze e ornamenti dei più belli che si potesse vedere; vi era quella bella immagine la quale è anche al presente, con sette angeli di rilievo con tanti serafini e angeli tutti sopra indorati, con bellissimo parapetto tutto ricamato di seta, e poi vi era di bellissimi serafini dintorno. L’altare poi aveva una bellissima cancellata con colonne forti e ben lavorate che si verdeva e serrava, in cima delle quali vi erano cassette che servivano per tenere cere della Scuola delle Grazie.
Avvertite ( dice l’autore di questa memoria –ndr) che mio padre, cioè Michele Simonetti, in quell’anno delle rovine era fabbriciere della Scuola delle Grazie.
L’altare di S.Antonio Abbate era a sinistra della chiesa, con un bellissimo tabernacolo, e in esso si conservavano le Reliquie di S.Celestino Martire, e tutto sopra indorato, con un quadro di S.Antonio da Padova.
Fuori della Chiesa sopra la porta maggiore vi era un gran S.Cristoforo e sull’altra S.Michiele Arcangelo.
Eravi una bellissima croce d’argento e una bellissima lampada con le catenelle tutte in argento. All’altare delle Grazie eravi una croce d’argento, con una lampada con tre candele pure d’argento e una cadenella larga dove era attaccato un crocefisso, con una lampada di latone. Sopra il coro e l’altare di S.Antonio Abate vi era una bellissima lampada di argento e una di latone con una bella catenella che fu fatta da Simeone Dolivier fabbro, e la fece di sua propria mano.
Vi erano tre bellissimi gonfaloni bianchi, tutti di damasco, nuovi, li quali erano solo due anni che erano stati fatti, uno di S.Michiele, e l’altro delle Grazie e uno di Loreto.
La cappella di Loreto era dritto alla porta minore della Chiesa parrocchiale. L’altare maggiore, cioè la Beata Vergine di Loreto, in scoltura, come la si vede al presente nel capitello di Giovanni Battista Biotte, nella villa di Fades, con due angeli di rilievo. A man dritta dell’altare vi era S.Sebastiano, e alla sinistra S.Rocco, poi vi era S.Giuseppe e la Madonna con il Bambino in braccio, e sedeva sopra del asino. Vi era poi S.Francesco nel deserto e l’annunziazione di Maria Santissima; eravi San Girolamo e S.Marco e S.Lugan Vescovo di Persenon e Beata Vazza sua discepola, e poi vi era la morte e il mondo, ovvero il tempo con la lanterna e orolobio da sabiòn, e il purgatorio e l’inferno e il paradiso. In essa chiesa, nella sommità del coro vi era S.Antonio da Padova e S.Agata e S.Cecilia e S.Margherita e S.Giuliana e la Madonna della cintura e S.Agostino. In fuori della chiesa era dipinto il crocifisso del Tirolo e poi vi era la sua campanella. Torniamo in chiesa, là v’era una bellissima croce d’argento con la catenella e due aste da torci e tutta selciata di pietra viva, e poi vi era un bellissimo cimiterio il quale era circondato da belle mura e coperto di lastre vive, con il carnèr, là dov’era li ossi delli poveri morti e una gesuòla ove era il ritratto di Adamo ed Eva, con lettere che dicevano “di terra sono e di terra tornerò, e per vostro amore, o Signore, la terrà bacerò”. Le gratelle poi erano tre, una verso Conaggia e l’altra verso Matten e l’altra verso Lantrago, e vi era una scalinata di pietra viva con le sue banderuole di ferro, e un poco per andare a Matten.
Fine.
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L’autore (Giacomo Simonetti) prega di dirgli tre Pater per lui, e altri due quello che l’ha copiato (Giacomo De Zordi). E De Col Maria, detta di Biotte, che l’ha copiato di nuovo si contenta di un’Ave Maria, ma questa vi prego di proprio recitarla.
Note di Tiziano De Col :
– Somassa è un impasto di pietrisco, calce e paglia;
– Diversamente da quanto scritto in alcune pubblicazioni di qualche anno fa, questa memoria del tempo afferma che la statua della Beata Vergine di Loreto era quella che fino a poco tempo fa si trovava “ presente nel capitello di Giovanni Battista Biotte, nella villa di Fades”. Questa statua, dopo essere stata restaurata per mano della restauratrice Lavallese Stefania De Zorzi, a cura dell’Amministrazione Comunale, al tempo (2005-2006) guidata dallo scrivente è stata collocata nel Museo La Valle all’ultimo piano del Municipio ed è l’icona del Museo stesso. Al suo posto, nel capitello di Fades, ha trovato giusta collocazione una ottima copia realizzata dallo scultore Lavallese , Albino Mezzacasa sempre a cura dell’allora Amministrazione Comunale e Sindaco.
– Ringrazio l’amico compianto Elvio De Col (Biote) e la sua famiglia tutta, per aver custodito per tante generazioni e tanti anni la statua della Beata Vergine di Loreto dopo che la stessa era stata tolta dalla sua posizione nella nuova attuale Chiesa per far posto ad una nuova e per averla poi concessa al Comune di La Valle per il restauro ed il suo posizionamento protetto nel Museo La Valle.
Didascalia disegno: Ultima copertina del manoscritto in questione: abbigliamento tipico dell’epoca nella Conca Agordina, al centro, la figura a sinistra appena visibile rappresenta un abbigliamento semplice, mentre in quella a destra, ben evidente, vi è rappresentato un abbigliamento signorile.