di RENATO BONA
Sòstene Schena ha dato alle stampe due edizioni (la prima in proprio, la seconda con la casa editrice Kimerik) del libro che in copertina porta il suo nome, proponendo una foto di quando il nostro aveva 4 anni. Il titolo: “Un po’ della mia vita… Non è un romanzo”. Oltre trecento pagine (erano 254 nella prima versione in diverso formato, comprese quelle dedicate alla traduzione delle frasi latine) nelle quali l’autore (a proposito: mio amico fraterno da decenni oltre che collega apprezzato, e non è dunque un caso se è padrino di battesimo di mio figlio Marco) si racconta sin da quando aveva appunto 4 anni, ed era quasi… un secolo fa. Dico la verità: non ho ben capito il titolo ed ho fatto dunque, come lui del resto, ricorso alla Enciclopedia Treccani, ricavando da cotanto “pulpito” che: romanzo, nell’uso moderno, è un componimento letterario in prosa, per lo più di media estensione, che può talvolta assumere le dimensioni e i caratteri di un racconto più o meno lungo, o essere invece assai ampio e dare la narrazione continua delle vicende di un ambiente, una famiglia o persino di più generazioni. Definizione che mi pare si attagli benissimo alle variegate vicende umane di “Sos” il quale, nel post scriptum, spiega con la sua passione per la lingua latina, per la saggezza dei classici e per i proverbi in genere, perché all’inizio di alcuni capitoli riporta detti o proverbi di grandi della letteratura e in chiusura propone una traduzione italiana degli stessi. Il collega Dino Bridda, che ha curato la presentazione sottolinea il fatto che Schena (giornalista professionista, scrittore, blogger, consulente finanziario, sommelier ed un sacco di altre attività) col suo libro ha confermato che il lavoro di giornalista diventa la professione “più bella del mondo quando ti da la possibilità di conoscere molte persone, di accostarti alle più disparate realtà, di capire ciò che ti circonda e di implementare il tuo bagaglio culturale ogni giorno di più”. Aggiunge e conclude: “… Sòstene si è raccontato con coraggio ed autoironia. Se questo suo libro è un film non si può non augurargli che i titoli di cosa siano ancora lontani. Se, invece, è un lungo articolo di giornale, diciamo che vi sono ancora indefinite colonne bianche da riempire. Mettiamola così, giacché si tratta di un collega giornalista!”. Dico subito che è stato un grande piacere leggere il ponderoso racconto di “Sos” (e sono orgoglioso che il capitolo 7, dedicato agli “amici veri”, mi veda al primo posto della sua personale graduatoria; e che nella copia che mi ha dedicato della prima edizione abbia scritto: “All’amico n. 1 con grande stima” e che la prima della ristampa l’abbia donata “al mio grande amico Renato Bona”): undici capitoli in cui c’è, davvero, un di tutto e di più che, lo affermo con convinzione, merita di essere letto (il libro è in vendita al prezzo di 25 euro). Metterei al primo posto il suo amore per la famiglia, la sua voglia di vivere, il suo saper stare tra la gente. Nell’impossibilità di commentare ogni capitolo, da vecchio cronista di “nera” e “giudiziaria” mi piace richiamare l’episodio legato fatto che – racconta – nel settembre 1979 ricevette una telefonata della collega Tina Merlin de l’Unità che gli chiese: “Non hai visto il telegiornale? A Roma c’è stato uno scontro a fuoco con dei brigatisti rossi e uno che è morto, aveva in tasta i tuoi documenti: patente, carta d’identità, tessera dell’ordine ed altro, tutto intestato a te…”. “Sos” spiegò all’amica-collega che sì, qualche mese prima gli era stato rubato il borsello ed evidentemente la “mala” di Treviso l’aveva riciclato al brigatista Prospero Gallinari che era evaso dal carcere locale. Sì, proprio quel Gallinari considerato il capo della cellula romana delle brigate rosse (che tra l’altro non era morto – ndr.) e fu tra i responsabili del sequestro di Aldo Moro e del massacro della sua scorta. Poi la sua passionaccia per i cani ed il suo amore in particolare per Pal un Komondor acquistato avventurosamente ma a buon prezzo a Pest, in Romania, che piaceva molto anche al calciatore campione del mondo “Pablito” Paolo Rossi, che di Sostene era divenuto amico in occasione dei ritiri a Belluno con il Vicenza-calcio (“…lui mi firmava alcune sue foto che il nostro fotografo, Bepi Zanfron, mi passava e io gli davo delle musicassette che registravo dalla mia nuova collezione di dischi quando facevo il dj alla radio RadioteleOltreRai…”). Quindi quello legato al tragico ricordo del Vajont: “…Alle 22,39 di quel 9 ottobre 1963, ero nel bar dei miei in compagnia solo del mio vicino di casa, Luciano Bianchini (futuro preside del liceo scientifico Galilei di Belluno); stavamo guardando la partita di Coppa dei Campioni tra i Rangers di Glasgow e il Real Madrid quando improvvisamente mancò la luce; uscimmo subito dal bar sulla strada per vedere cosa stava accadendo; tutto il paese era al buio; il cielo era terso e la luna illuminava a giorno Ponte nelle Alpi… Con Luciano decidemmo di andare a vedere cosa succedeva, proprio giù al ponte, soltanto un centinaio di metri a sud di casa, dove esiste quella strettoia che blocca l’acqua quando il Piave è in piena… Il fiume era salito quasi al livello della strada ed aveva spazzato via la passerella di ferro sottostante il ponte, sulla quale io, ogni lunedì, andavo a cambiare la carta all’idrometro di batteria carte che spedivo poi al Magistrato alle acque di Venezia… Capimmo che qualcosa di veramente grave era accaduto: assieme alla grande quantità di legname si vedevano galleggiare sulla furia delle acque automobili, grossi oggetti, mobili, perfino un pullman… Da buon giornalista-precario ma già consapevole di cosa fosse uno scoop, chiusi il bar e mi misi alla guida della mia 600 Fiat in direzione Longarone… e proprio là, dove fino a pochi minuti prima la strada faceva una curva a sinistra c’era, proprio al centro dell’asfalto, il corpo di una donna, probabilmente una vecchia, tutta vestita di nero, ancora con il suo fazzoletto scuro in testa. La strada finiva lì… Raggiunsi casa mia e telefonai al mio capo, Lucio De Grandis: “Sembra che sia crollata la diga del Vajont gli dissi, ora ritorno in su ma a Faè la strada è sparita dovrò andare a piedi e mi porterò una torcia, appena avrò qualche notizia in più ritornerò a Ponte e telefonerò…”. Concludo questa lettura dell’entusiasmante diario (Non è un romanzo, scrive lui…) di Sòstene Schena, citandolo con riferimento al capitolo “Gli amori”: “Daniela è stata la prima persona che ho veramente amato… con tutti gli alti e bassi e i risvolti di un amore contrastato dalle mille vicende della vita, belle e brutte, piacevoli e sgradevoli. Purtroppo il fatto più sgradevole di tutti mi è capitato il 2 gennaio del 2019 come una ‘ghigliottinata’ tra capo e collo. Dicevamo spesso che ‘morire fa parte della vita’, e ricordo che mio padre, anche lui morto giovanissimo, diceva che un padre non è un padre se non ha insegnato e preparato i suoi figli a quell’avvenimento della vita che è la morte’. Forse è per questo che in quel tragico momento non ho sentito nemmeno il dolore, o è stata incoscienza, o, ancor di più, l’incredulità di ciò che era avvenuto… Niente lacrime e questo non mi ha stupito, da ultimo perché Lei non avrebbe voluto (ne abbiamo parlato tanto… non solo pochi mesi prima)… Sta di fatto che Lei è sempre con me quando mi aggiro per la nostra casa-bazar, piena zeppa di ‘oggetti-ricordo’ dei quali non posso fare a meno anche se qualcuno è kitsch, è diventato inutile e magari ingombrante… Ultimamente ho constatato comunque che più si va in la con gli anni e più i sacchi lacrimali hanno… ‘perdite’. A cosa serve la vita se metà del tuo essere, della tua esistenza non esiste più?”. Serve, carissimo amico mio Sòstene; se non altro per far conoscere persone per bene quale sei tu, e situazioni di vario genere che nel bene e nel male dobbiamo affrontare al meglio! NELLE
FOTO (riproduzioni dal libro “… Non è un romanzo” e album di famiglia di Renato Bona): la copertina con Sòstene Schena all’età di 4 anni; in occasione del battesimo del suo figlioccio Marco Bona, mio figlio; l’autore, oggi; la casa natale di via Roma a Ponte nelle Alpi; il nostro, mascotte degli alpini; i suoi fratelli da bambini: Eros, Dolce e Viviano; Schena ripreso da Bepi Zanfron sul monte Toc, di fronte a Erto; suo padre Teofilo; mamma Rina; Sòstene con colleghi consulenti finanziari Fideuram; spiega ad una scolaresca la professione del giornalista; con la moglie Daniela dopo il “sì” il 29 novembre 2011; uno dei libri da lui scritti sulla Croazia; i “mitici” colombi colorati all’esterno del suo bar Roma; eccolo nella sua veste di sommelier; il suo amico, purtroppo scomparso, Paolo Rossi, col cane Pal di “Sos”; l’amica e collega de L’Unità, Tina Merlin.