A causa delle restrizioni alla mobilità introdotte in queste ultime settimane, il problema è svanito del tutto. Con il ritorno alla normalità, comunque, le code di auto e di Tir lungo le strade delle nostre città si riformeranno in un batter d’occhio.
Un problema, stando ai dati della Commissione europea, che obbliga gli italiani a rimanere bloccati nel traffico per quasi 38 ore all’anno, praticamente una settimana di lavoro; nell’Europa a 27 solo Malta e Belgio registrano una situazione peggiore della nostra.
Rispetto ai principali Paesi europei il gap del nostro Paese è significativo: se in Olanda si rimane congestionati per 32 ore all’anno, in Francia e Germania si scende attorno a 30 e in Spagna a poco più di 26. La media UE si attesta a 30,4 ore (vedi Tab. 1).
Le lunghe code che ci angosciano ogni giorno sono riconducibili, in particolar modo, a un paio di cause: la prima dovuta all’insufficienza del numero di mezzi pubblici presenti nelle nostre città (bus, tram, metro, treni, etc.) che costringe tantissimi pendolari ad usare i mezzi privati; la seconda è ascrivibile al grave deficit infrastrutturale che caratterizza il nostro Paese.
“Secondo i dati del Ministero dei Trasporti, il deficit di competitività del nostro sistema logistico-infrastrutturale costa all’economia del Paese 40 miliardi di euro all’anno . Anche per questa ragione è necessario che il Governo, a seguito della grave recessione economica che si è abbattuta in queste ultime settimane, investa quanto prima in un piano nazionale per la realizzazione delle opere pubbliche che permetta di ammodernare il Paese, di renderlo più competitivo e, soprattutto, di imprimere una forte scossa positiva alla domanda interna”.
I risultati che emergono dai confronti tra il nostro Paese e i principali Paesi europei sono impietosi e dimostrano la necessità di intervenire quanto prima.
“Sebbene i numeri non siano soddisfacenti – dichiara il segretario Renato Mason – anche l’Italia può comunque contare, nel campo logistico, su molte punte di eccellenza. Tuttavia, il risultato medio nazionale è insufficiente e continuiamo ad essere un Paese che ha bisogno come il pane di realizzare sia le grandi opere sia quelle di dimensione inferiore. Grazie alla cantierizzazione di questi lavori potremmo attivare una leva molto importante per aggredire la recessione e per creare nuovi posti di lavoro”.
Senza contare che sono circa una decina le grandi opere che, pur disponendo dei finanziamenti, non hanno ancora visto iniziare i lavori. Alcune di queste infrastrutture strategiche ancora ferme ai blocchi di partenza sono:
• Tav Torino-Lione (8,6 miliardi di euro);
• Tav Messina-Catania-Palermo (costo 8 miliardi di euro);
• Gronda di Genova (5 miliardi di euro);
• Av Verona-Padova IRICAV 2 (4,9 miliardi di euro);
• Terza corsia A11 Firenze-Pistoia (3 miliardi di euro);
• Autostrada Roma-Latina (2,8 miliardi di euro);
• Autostrada Pedemontana Lombarda (2 miliardi di euro);
• Tav Napoli-Bari lotto Irpinia-Orsara/tratta Orsara Bovino (2 miliardi di euro);
• Autostrada regionale Cispadana (1,3 miliardi di euro).
L’auspicio, segnalano dalla CGIA, è che il “modello Genova” – adottato per la costruzione del ponte sopra il Polcevera progettato da Renzo Piano – venga esteso a tutte le principali grandi opere già finanziate ma non ancora avviate, attraverso la tanto agognata nomina dei commissari.
Anche l’opinione dei grandi manager internazionali conferma lo stato di arretratezza logistico/infrastrutturale del nostro Paese. Dall’elaborazione dell’Ufficio studi della CGIA su dati del World Economic Forum (WEF) , tra i 10 Paesi europei più importanti presi in esame, l’Italia si colloca sempre in fondo alla graduatoria per qualità/efficienza del sistema infrastrutturale. In particolare per
qualità delle strade;
efficienza dei servizi ferroviari;
efficienza dei servizi portuali;
copertura della linea internet veloce (fonte: Commissione Europea).
Rispetto alla Germania, che è il nostro principale competitor in campo economico, l’Italia sconta un gap
del 22 per cento per la qualità delle strade (vedi Tab. 2);
del 19 per cento per l’efficienza dei servizi ferroviari (vedi Tab. 3);
del 12 per cento per l’efficienza dei servizi portuali (vedi Tab. 4);
del 178 per cento per la copertura della linea internet ultraveloce (vedi Tab. 5).
La CGIA, infine, tiene a precisare che oltre alla realizzazione delle grandi infrastrutture materiali e immateriali abbiamo altrettanto bisogno di portare a termine moltissimi interventi “minori” che sono però indispensabili per la messa in sicurezza di tanti cittadini, di moltissime città e piccoli paesi. Interventi che potrebbero dare una grossa mano alla ripresa della domanda interna. Si ricorda, infatti, che:
l’88 per cento dei circa 8 mila Comuni italiani ha almeno un’area classificata a elevato rischio idrogeologico ;
il 40 per cento circa delle abitazioni di edilizia residenziale pubblica è ubicato in zone ad alto rischio sismico ;
su circa 6.000 opere censite (gallerie, ponti, viadotti, etc.) quasi 2.000 necessitano di interventi urgenti ;
il 38 per cento dell’acqua trasportata dal sistema idrico pubblico si perde per strada a causa dell’elevato livello di deterioramento della rete .