Con 23.691 euro, il Veneto è appena fuori dal podio della classifica nazionale relativa al livello delle retribuzioni medie lorde pagate ai lavoratori dipendenti nel 2022. In Italia solo gli imprenditori della Lombardia con 28.354 euro, dell’Emilia Romagna con 24.593 euro e del Piemonte con 24.549 hanno pagato i propri collaboratori più dei nostri. La media nazionale è pari a 22.839 euro (vedi Tab. 1).
Questo gap con le principali regioni del nostro Paese è in massima parte ascrivibile la livello di produttività del lavoro (valore aggiunto per ora lavorata). Se in Veneto si attesta a 38,6 euro per ora lavorata, in Lombardia è pari a 45,7. in Emilia Romagna a 41,5 e in Piemonte a 38,6. Oltre a queste regioni ne ce ne sono cinque che presentano un valore superiore al nostro.
Se in Lombardia i livelli retributivi sono elevati grazie alla presenza delle multinazionali, degli istituti di credito/assicurativi e delle poche grandi imprese presenti nel Paese, in Piemonte e in Emilia Romagna la presenza di settori ad alta produttività e a elevato valore aggiunto – come la produzione di auto, la meccanica, l’automotive, la meccatronica, il biomedicale e l’agroalimentare – hanno “garantito” alle maestranze di questi territori buste paga più pesanti di quelle percepite dai veneti. Una regione, la nostra, che tradizionalmente può contare sulla presenza soprattutto di Pmi che, comunque, assicurano delle performance qualitative e quantitative straordinarie (vedi Tab. 2).
E’ interessante analizzare anche i dati delle giornate medie lorde retribuite. Se la Lombardia è la regione più stacanovista d’Italia con 257,6, seguono il Piemonte con 255,1 e il Veneto, che occupa il gradino più basso del podio, con 254,9 giorni. I dati si riferiscono al 2022.
A livello veneto sono gli imprenditori vicentini quelli che pagano di più. Nella provincia più industrializzata della nostra regione la retribuzione media annua è pari a 24.842 euro, seguono Padova con 24.613 euro e Treviso con 24.528 euro.
Per quanto concerne il numero medio di giornate retribuite è sempre Vicenza a guidare la graduatoria con 262,6, seguono Padova con 261,9 e Treviso 261,6.
Meglio la contrattazione decentrata del salario minimo
Come ha avuto modo di segnalare anche il CNEL, il problema dei lavoratori poveri non parrebbe riconducibile ai minimi tabellari troppo bassi, ma al fatto che durante l’anno queste persone lavorano un numero di giornate molto contenuto. Pertanto, più che ad istituire un minimo salariale per legge andrebbe limitato il ricorso ad alcuni contratti a tempo determinato. Altresì, dall’Ufficio studi della CGIA fanno sapere che per innalzare gli stipendi dei lavoratori dipendenti, in particolar modo di quelli con qualifiche professionali minori, bisognerebbe continuare nel taglio dell’Irpef e diffondere maggiormente la contrattazione decentrata. Avendo una delle percentuali relative al numero di lavoratori coperto dalla contrattazione collettiva nazionale tra le più alte a livello europeo (poco meno del 98 per cento del totale dei lavoratori dipendenti), dovremmo “spingere” per diffondere ulteriormente anche la contrattazione di secondo livello, premiando, in particolar modo, il raggiungimento di obbiettivi di produttività, anche ricorrendo ad accordi diretti tra gli imprenditori e i propri dipendenti. Così facendo, daremmo una risposta soprattutto alle maestranze del Nord e in particolar modo del nostro Veneto che, a seguito del boom dell’inflazione, in questi ultimi anni hanno subito, molto più degli altri, una spaventosa perdita del potere d’acquisto.
Contratti di lavoro di secondo livello: coinvolti 5,5 milioni di lavoratori
Entro lo scorso 17 giugno erano presenti presso il Ministero del Lavoro 13.597 contratti attivi di secondo livello, di cui 11.261 di natura aziendale e 2.336 territoriali. Lombardia (3.695), Emilia Romagna (2.484) e Veneto (1.442) sono le regioni che presentano il numero più elevato. Di questi 1.442 attivi nella nostra regione, 1.270 sono aziendali e 172 territoriali. I dati del Ministero del Lavoro, purtroppo, non ci consentono di misurare il numero di lavoratori coinvolti a livello regionale, anche se l’ISTAT stima in almeno 5,5 milioni i lavoratori italiani che sarebbero coperti da questa misura (il 34 per cento circa del totale dei dipendenti del settore privato).