BELLUNO Stop alle attività non essenziali: appello delle Organizzazioni Sindacali bellunesi al prefetto affinché si adoperi per richiamare gli imprenditori a interpretare concretamente il fondamento prioritario del DPCM di domenica 22 marzo, ossia la sospensione delle attività produttive e commerciali per evitare il diffondersi del contagio da coronavirus. In una lettera inviata questa mattina, martedì 24 marzo, ad Adriana Cogode, Cgil, Cisl e Uil territoriali invitano il prefetto a svolgere un intervento di sensibilizzazione fra le imprese, per una interpretazione omogenea del Decretoche – scrivono Mauro De Carli (Cgil), Rudy Roffarè (Cisl) e Guglielmo Pisana (Uil) – “purtroppo ha generato numerose diversità operative all’interno del mondo produttivo, tanto che ora emergono contrapposizioni, sia tra aziende, che tra i lavoratori e le loro rappresentanze e le aziende stesse”. In particolare, Cgil, Cisl e Uil sottolineano che lo stesso Decreto permette al prefetto una “discrezionalità su alcune tipologie di intervento, quelle sulle aziende a ciclo continuo”. Il Decreto infatti consente, previa comunicazione al prefetto, le attività degli impianti a ciclo produttivo continuo, dalla cui interruzione derivi un grave pregiudizio all’impianto stesso o un pericolo di incidenti. Il prefetto può sospendere le attività qualora ritenga che non sussistano le condizioni di pregiudizio o pericolo. “La classificazione tra aziende secondo codici Ateco – scrivono le Organizzazioni sindacali – non permette di cogliere lo spirito dell’iniziativa del governo, che era quella di sospendere le attività ad eccezione di quelle ritenute essenziali. Oggi purtroppo assistiamo ad un’applicazione del Decreto solamente secondo la classificazione dei codici, non secondo la vera necessità del Paese, cioè quella di evitare il propagarsi del contagio, evitando al massimo qualsiasi forma di contatto o di vicinanza tra le persone, anche e soprattutto nei luoghi di lavoro”. “Riconosciamo in gran parte del mondo produttivo – proseguono – una consapevolezza della gravità del momento, ma allo stesso modo vediamo le scelte di alcune aziende che si stanno nascondendo dietro al tecnicismo del codice, noncuranti delle forti preoccupazioni dei lavoratori. Non nascondiamo il dubbio che alcune di queste scelte siano dettate da logiche di mercato, anche quando gli stessi potenziali clienti hanno scelto di chiudere l’attività”. Il riferimento al settore dell’occhialeria è chiaro: il codice Ateco parla di produzioni ad uso farmaceutico, anche se la totalità delle produzioni attualmente è rivolta ai settori della moda e dell’abbigliamento. “Ma registriamo atteggiamenti analoghi anche in aziende del settore della gomma-plastica e del metalmeccanico, aggravate in qualche caso dalla non chiara osservanza delle disposizioni Spisal”. Le Organizzazioni sindacali, infine, si rivolgono al prefetto sottolineando di non escludere la possibilità di nuove mobilitazioni e proteste contro “un atteggiamento di insensibilità verso la situazione di emergenza e verso la sicurezza della salute pubblica e dei lavoratori”.