di RENATO BONA
Contributi di Eliana Olivotto, Agostino Sacchet, Mauro Corona, Associazione Pietra e Scalpellini di Castellavazzo, “Svalt De Forza” Spiegare “Il lavoro nelle Valli del Piave e del Vajont prima del 9 ottobre 1963” (titolo del libro curato da Elda Deon Cardin, longaronese trapiantata a Belluno, con impaginazione e stampa nel novembre 2008 di Grafiche Longaronesi ed il patrocinio del Comune) significa inevitabilmente, perché giusto, parlare e scrivere anche di scalpellini. Se poi hai l’acume di accostare a testi e immagini le liriche dialettali di Eliana Olivotto, il gioco è fatto ed il successo meritato. Complimenti dunque all’autrice – esemplare anche nella ricerca-raccolta di cartoline del tempo che fu – alla poetessa e ai molti altri che hanno volentieri garantito la loro collaborazione. Il capitolo si apre con la lirica della Olivotto: “Pensier de ‘n scalpelìn” la quale fa sua la ipotetica domanda di uno scalpellino: “Da ‘sta piéra ròsa, co’ scalpèl e martèl, cossa càvele fora le me man de bèl?…” (da questa pietra rosa, con scalpello e martello cosa ricaveranno le mie mani di bello? – ndr.) per introdurre un testo di Agostino Sacchet il quale illustra “Pietra e Scalpellini di Castellavazzo” ricordando che “La piéra de Castel è una risorsa naturale utilizzata fin dai tempi di Roma, ne è prova la stele neroniana conservata nel municipio di Castellavazzo”. Si tratta di una pietra calcarea con due varietà principali di colore rosso venato e grigio cinereo, una delle più pregiate della provincia di Belluno. All’uso della pietra è legata l’attività degli scalpellini vanto storico, artigianale, professionale ed artistico del paese. Richiamati alcuni esempi importanti di utilizzo a Belluno (oltre che in Veneto) della pietra di Castellavazzo: cattedrale e campanile del capoluogo, palazzo Reviviscar, la sede delle Poste, non trascura di scrivere che “Gli scalpellini, oltre che nel loro paese, hanno portato l’arte e l’abilità professionale in molti stati d’Europa, con un forte flusso migratorio, dalla metà degli anni 1800 in Svizzera, in Germania, in Francia”. Avviandosi a conclusione puntualizza: “Attualmente rimane in attività una sola cava delle oltre venti segnalate nel passato, quella di Marsor a Olantreghe… Per non perdere la tradizione è stata costituita l’associazione “Pietra e Scalpellini di Castellavazzo” che si è fatta carico di recuperare e rinnovare l’arte della lavorazione manuale della pietra creando la “Bottega degli Scalpellini” e recuperando la documentazione e le attrezzature dell’attività dei tempi passati, che sono state raccolte nell’interessante Museo della Pietra degli Scalpellini ospitato presso le ex scuole medie”. Sotto il titolo “Castellavazzo, un paese di pietra, la pietra di un paese”, l’Associazione Pietra e Scalpellini ricordato che “le vicende storiche che hanno riguardato questo borgo di montagna si sono sempre intrecciate con le attività di estrazione e lavorazione della pregiata pietra locale, universalmente nota come ‘di Castellavazzo’, evidenzia il fatto che “Tutta l’Europa, l’Africa, l’Asia, le terre d’Oltreoceano, hanno apprezzato l’opera dei cavatori e degli scalpellini provenienti da Castellavazzo dove oggigiorno, a perenne testimonianza del loro prezioso operato, rimangono intatte come un tempo le loro realizzazioni nelle chiese, nei palazzi, sui ponti ancor oggi fruiti”. Elda Deon Cardin non ha certo perso l’occasione ed ha dunque pubblicato uno stralcio da “Sotto le foglie”, di un personaggio come Mauro Corona (Corriere delle Alpi, domenica 12 gennaio 2003) in cui lo scrittore spiega che: “Alla cava il rischio di farsi male seriamente o addirittura di lasciarci la pelle era in agguato tutti i giorni e ad ogni ora . Troppi aggeggi complicati, pesi colossali, blocchi mastodontici in movimento dovevano essere gestiti e tenuti a bada dall’intelligenza e dall’esperienza umana… Una volta dovevamo fendere un blocco enorme di forma ovale. Una mastodontica noce di quattro metri cubi da dividere esattamente a metà lungo la linea longitudinale, Berto praticò i fori, dopo di che io vi puntai i cunei d’acciaio assieme alle lamine. Se c’era da spaccare blocchi mi offrivo volontario perché speravo sempre di imbattermi nell’‘occhio azzurro’…”. Infine l’autrice ha recuperato da “Il Gazzettino” del 30 dicembre 1959 il servizio firmato “Svalt De Forza” e “intitolato: “Il magnifico marmo della cava di Buscada farà di Erto la ‘città’ voluta dalla profezia?” (e cioè: “Erto diventerà una città e poi sprofonderà”), con la puntualizzazione: “Se la città è ancora di là da venire, tuttavia qualcosa si va maturando… fra qualche anno il ghibellino bel campanile di Erto si specchierà sulle tranquille acque di un lago meraviglioso che renderà la zona magnifica dal lato turistico, poi dirò che si è aperta in Buscada (a m.1752 slm) una cava di marmo rosso di interesse indiscutibile…”.
NELLE FOTO (riproduzioni dal libro “Il lavoro nelle Valli del Piave e del Vajont prima del 9 ottobre 1963” e Pro Logo Longarone):gruppo di scalpellini; La falda – Sierras de Cordoba, primi anni del ‘900; foto Arturo Francisco, donatore Narciso Bergamasco, collezione Apsc: Associazione Pietra e Scalpellini Castellavazzo; gruppo di scalpellini provenienti dalla zona di Castellavazzo in Baviera, Germania, nel 1908; donatore Luca Mazzucco (Bero), collezione Apsc; cava di Buscada: preparazione dei blocchi di marmo, anni ‘69-’70, foto Leschiutta, Claut, collezione Gianpietro Corona; ancora Buscada: preparazione del ‘musàt’ per la discesa a valle del blocco finito e suono della tromba come allarme sparo mine, anni ‘69-’70, foto Leschiutta Claut, collezione G.C.; particolare della cava di Buscada; collezione Archivio Biblioteca Comune di Erto e Casso; la nuova sede di Associazione e Museo degli scalpellini a Castellavazzo in provincia di Belluno.