di RENATO BONA
Nel libro della bellunese trapiantata nella Capitale, dott. Milena Caldart “Donne in prima linea” non poteva mancare, tra le testimonianze dell’identità femminile veneta con protagoniste bellunesi, vicentine e trevigiane dall’Annessione al Ventennio, la figura di Clementina detta Tina Merlin, giornalista, scrittrice, una brava collega ed amica carissima, impegnata nel sociale e nota come “quella del Vajont”, La Caldart spiega che la Merlin nasce in quel di Trichiana nel 1926 ( il 19 agosto e morirà a Belluno il 22 dicembre 1991 – ndr.) da una umile famiglia, con i genitori che “sono riusciti a costruirsi la casa con molti sacrifici e molti debiti”. La coppia aveva otto figli (quattro morirono: uno per tubercolosi, uno di pellagra, uno sul lavoro e uno disperso in Russia) ed è inevitabile che il padre fosse costretto ad emigrare, dapprima in Italia poi in Svizzera, Germania, Austria e Boemia dove, come Tina non esitava ad annotare nella sua biografia “si recava viaggiando a piedi, bisaccia in spalla”. Mentre la madre mandava avanti la famiglia ricavando le indispensabili risorse da una mucca, un maiale, qualche pollo e coltivando un piccolo terreno; i soldi del marito servivano invece per far fronte ai debiti contratti per costruire la casa. Logico che in tale situazione Tina, fin da bambina fosse impegnata a dare una mano in famiglia tra altro sostituendo la sorella come bambinai nella casa del brigadiere dei carabinieri. Altrettanto logico che le restasse troppo poco tempo per studiare tanto che fu bocciata in quinta elementare e non potè ripetere l’anno, lavorando in paese a casa del farmacista, del dottore, di un proprietario terriero e di un commerciante. L’autrice del libro, la Caldart, in proposito opportunamente scrive che: “E’ il suo apprendistato”. Nel 1938, quando ha solo 12 anni, va a Milano con una sorella ed è la sua prima esperienza di “serva sotto padrone”: sentirà molto il peso della personale condizione sociale e: “ si svilupperà in lei la ribellione, un tratto sociale che conserverà sempre”. Non è un caso se quando ha 17 anni affascinata dai “ribelli della montagna” parteciperà alla lotta partigiana di liberazione nella Resistenza che considera anche un mezzo di emancipazione femminile. Diventa staffetta di collegamento tra i comandi di battaglione e brigata, facendo la spola tra Treviso e Venezia in bicicletta e a piedi su e giù per la montagna. Una nuova forte esperienza che – ancora la Caldart a sottolinearlo – la porterà in seguito a battersi contro ogni sopruso e violenza”. Aderisce poi al Partito comunista italiano considerato il più idoneo a portare avanti la sue aspirazioni e le sue idee di lotta (ma non saranno tutte rose…). Tina Merlin ha quindi svolto attività giornalistica dal 1951 per trent’anni per il quotidiano “L’Unità” facendo anche una breve esperienza anche a Radio Budapest in Ungheria. Ha scritti libri importanti ma è ricordata soprattutto “per aver aiutato con caparbietà e ostinazione a mettere in luce tutte le vicende legate alla diga del Vajont” e conseguente catastrofe del 9 ottobre 1963 con duemila vittime. La conclusione di Milena Caldart: “Tina è stata una grande donna che ha difeso il ruolo delle donne nella società e sostenuto le cause dei più deboli, che ha fatto un patto con il suo popolo portando avanti rivendicazioni e lotte: donna di coraggio nella ricerca della verità”.
NELLE FOTO (riproduzioni dal libro di Milena Caldart “Donne in prima linea”, quotidiano La Repubblica, Associazione culturale Tina Merlin): Tina a 21anni (da “Quella del Vajont” Cierre edizioni 2011); la Merlin con due compagne della lotta di liberazione; ad un raduno partigiano in Cansiglio nell’immediato dopoguerra, con Aldo Sirena il partigiano “Nerone” comandante di due brigate partigiane, dal quale avrà un figlio: Antonio detto Toni, anch’egli valente giornalista professionista come la madre); sfilata di donne e uomini della Resistenza.