Tra il reddito, la pensione di cittadinanza e “quota 100”, nel 2020 è prevista una spesa di 12,3 miliardi, il 64 per cento in più della misura economica anticrisi annunciata nei giorni scorsi dal Governo che sarà pari a 7,5 miliardi. Somme importanti che hanno indotto il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA, Paolo Zabeo, a questa riflessione:
“Per dare un sussidio anche a chi è poco interessato a trovarsi un lavoro o vuole andare in pensione in anticipo, il Governo ha previsto per l’anno in corso una spesa di 12,3 miliardi di euro. Per affrontare una crisi economica che, invece, rischia di far scivolare il Paese in una recessione pesantissima, promette 7,5 miliardi. Insomma, per l’assistenza non badiamo a spese, ma per fronteggiare una crisi che si annuncia essere tra le più drammatiche degli ultimi 75 anni erogheremo una misura che, sebbene sia raddoppiata nel giro di pochi giorni, rimane ancora insufficiente”.
Dalla CGIA fanno sapere che l’annuncio dato l’altro ieri dal Governo di portare fino a 7,5 miliardi il decreto per contrastare gli effetti negativi del coronavirus va salutato positivamente, anche se gli interventi che verranno messi in campo sono rivolti solo a contenere la crisi, mentre nulla è stato previsto per “aggredire” la recessione economica ormai alle porte. Afferma il segretario della CGIA, Renato Mason:
“Se da un lato il mondo produttivo chiede a gran voce una importante manovra espansiva in grado di rilanciare i consumi e la domanda interna, dall’altro il Governo affronta la crisi solo con misure di contenimento che sono certamente importanti, anche se bisognerebbe integrarle con un importante piano di investimenti a medio-lungo termine. Per questo invitiamo l’Esecutivo a sbloccare le grandi opere pubbliche già finanziate o fermate dall’ eccessiva burocrazia, mutuando il successo che sta avendo il metodo Genova. Senza dimenticare che è necessario che la nostra Pubblica Amministrazione torni a pagare i debiti commerciali maturati con i propri fornitori”.
Dalla CGIA, inoltre, segnalano che per l’anno in corso le politiche attive del mercato del lavoro costeranno 17 miliardi di euro. Risorse che in gran parte sono gestite dalle Regioni (vedi Tab. 1).
Vista la situazione che si profila da qui a breve, gli artigiani mestrini ritengono che sarebbe forse opportuno dirottare una parte di queste risorse verso interventi che sono in grado di creare nuovi posti di lavoro – attraverso la cantierizzazione delle opere pubbliche – anziché sostenere iniziative volte a trovare un’occupazione a chi non ce l’ha, che con la crisi in arrivo difficilmente riuscirà a trovare un lavoro.
ESEMPI DI MISURE RICONDUCIBILI ALLE POLITICHE ATTIVE
Orientamento di base, analisi delle competenze in relazione al mercato del lavoro locale, profilazione e definizione delle azioni di ricerca di lavoro che devono essere compiuti dalla persona;
Aiuto alla ricerca di un’occupazione, anche mediante sessioni di gruppo;
Orientamento specialistico e individualizzato, da fornire attraverso il bilancio delle competenze e l’analisi degli eventuali fabbisogni di formazione, esperienze di lavoro o altre misure di politica attiva del lavoro, in relazione alla domanda di lavoro espressa a livello territoriale, nazionale ed europeo;
Orientamento individualizzato all’autoimpiego;
Accompagnamento al lavoro, anche con l’utilizzo dell’assegno di ricollocazione;
Formazione per la qualificazione e riqualificazione professionale, l’autoimpiego e l’immediato inserimento lavorativo;
Promozione di esperienze lavorative per l’incremento delle competenze, anche mediante tirocinio;
Incentivi al lavoro autonomo e tutoraggio per le fasi successive all’avvio dell’impresa;
Incentivi alla mobilità territoriale;
Strumenti per conciliare il lavoro con gli obblighi di cura verso minori o persone non autosufficienti.
La necessità di tornare ad investire massicciamente nelle infrastrutture è una priorità riconosciuta da tutti. Secondo i dati del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (MIT), ad esempio, il deficit di competitività del nostro sistema logistico-infrastrutturale ci costa 40 miliardi di euro all’anno .
A detta della SACE (gruppo Cassa Depositi e Prestiti), questo gap con gli altri competitori europei ci fa perdere 70 miliardi di euro di export ogni anno . Importi, ovviamente, che non si possono sommare, ma che danno la dimensione dell’arretratezza delle grandi reti di trasporto e di logistica presenti nel nostro Paese.
La CGIA tiene comunque a precisare che oltre alla realizzazione delle grandi infrastrutture materiali e immateriali abbiamo bisogno di eseguire anche moltissimi interventi “minori” che sono però indispensabili per la messa in sicurezza di tante aree del Paese.
Si ricorda, infatti, che:
- l’88 per cento dei quasi 8 mila Comuni italiani ha almeno un’area classificata a elevato rischio idrogeologico ;
- il 40 per cento circa delle abitazioni di edilizia residenziale pubblica è ubicato in zone ad elevato rischio sismico ;
- su 6.000 opere monitorate dalle Province (gallerie, ponti, viadotti, etc.) quasi 2.000 necessitano di interventi urgenti ;
- il 38 per cento circa dell’acqua trasportata dal sistema idrico pubblico si perde per strada a causa dell’elevato livello di deterioramento della rete .