La crisi ha colpito soprattutto i giovani: in 20 Paesi europei su 28, infatti, il rischio povertà tra gli under 16 (media UE al 24,4 per cento) è nettamente superiore a quello riferito agli over 65 (18,2 per cento) 1. La situazione in Italia è ancor più drammatica. La percentuale di minori che si trova in una situazione di deprivazione economica è addirittura al 31,5 per cento, contro una media tra gli ultra sessantacinquenni del 22 per cento. Nell’Unione Europea a 28 solo in Grecia, in Romania e in Bulgaria la quota di minori a rischio povertà è superiore al dato riferito al nostro Paese (vedi Graf. 1). A dirlo è l’Ufficio studi della CGIA.
Afferma il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo:
“L’elevato livello di povertà giovanile, riconducibile anche alle caratteristiche della spesa per la protezione sociale che in tutta Europa è fortemente sbilanciata sulle pensioni, spesso si traduce anche in povertà educativa. Molti di questi ragazzi, infatti, sono destinati ad abbandonare presto gli studi, pregiudicando la carriera lavorativa futura, che quasi sicuramente riserverà a questi soggetti delle enormi difficoltà a trovare un’occupazione stabile e di qualità. E alla luce del progressivo invecchiamento della popolazione e del calo delle nascite, le nostre Pmi non possono permettersi di lasciarsi sfuggire una quota così importante di giovani leve”.
Come dicevamo, questa elevata percentuale di adolescenti con problemi di esclusione sociale, che rischia di pregiudicare ad un minore su 3 il conseguimento del diploma di scuola secondaria di secondo grado, avrà delle implicazioni molto preoccupanti nel momento in cui dovranno cercare un lavoro.
In questi ultimi anni, infatti, i flussi di ingresso nel mercato del lavoro italiano si sono decisamente polarizzati. Le imprese, infatti, da un lato cercano sempre più addetti con bassi livelli di competenze e di specializzazione, dall’altro, maestranze che presentano una elevata professionalità. In forte calo, invece, la richiesta di figure caratterizzate da mansioni routinarie.
“Questa situazione – segnala il segretario Renato Mason – spiega molte cose, in particolar modo il disallineamento sempre più marcato tra domanda e offerta di lavoro. Sempre più spesso, infatti, molti imprenditori denunciano la difficoltà di reperire tecnici altamente specializzati, nonostante la disoccupazione giovanile in Italia superi il 30 per cento. Oppure, segnalano di non trovare personale per lavori a bassa professionalità e molto impegnativi da un punto di vista fisico. Fenomeno, quest’ultimo, che è stato mitigato grazie al massiccio ricorso di personale straniero”.
In Italia, la popolazione a rischio povertà o esclusione sociale con meno di 18 anni ha un’incidenza più elevata nel Mezzogiorno. In Sicilia, ad esempio, i minori in difficoltà son il 56,8 per cento, in Calabria il 49,5 e in Campania il 47,1. In termini assoluti, a livello nazionale la popolazione giovanile con disagio economico ammonta a 3,1 milioni di unità: tra questi, 498 mila circa sono campani e 488 mila circa sono siciliani (vedi Tab. 1).
Secondo l’Istat, i livelli di povertà si mantengono elevati per le famiglie con 5 o più componenti e con persona di riferimento giovane avente un basso livello di istruzione. Al Nord le famiglie che vivono nelle grandi città presentano l’incidenza della povertà relativa superiore a quella presente nei Comuni di minori dimensioni. Nel Centro Sud, invece, la situazione si capovolge. Sono i Comuni minori a registrare il numero più alto di famiglie in povertà, rispetto alle realtà urbane con un numero di abitanti superiore. Infine, l’incidenza di povertà relativa è decisamente superiore nelle famiglie dove sono presenti degli stranieri 2.
Povertà economica, dicevamo, è sinonimo anche di povertà educativa. I dati sull’uscita precoce dal sistema di istruzione e formazione 3 sono molto preoccupanti. Nel 2017 i giovani tra 18 e i 24 anni che avevano conseguito solo il diploma di licenza media e non stavano frequentando nessun altro corso scolastico/formativo erano il 14 per cento, ma con punte del 21,2 in Sardegna, del 20,9 in Sicilia e del 19,1 in Campania. Le realtà più virtuose, invece, riguardavano l’Umbria (9,30 per cento), la Provincia autonoma di Trento (7,80 per cento) e l’Abruzzo (7,40 per cento) (vedi Graf. 2).
Altrettanto allarmante è il livello di non conseguimento della licenza media. Secondo i dati dell’ultimo Censimento della popolazione Istat, l’8,61 per cento degli italiani in età lavorativa (15-62 anni) non ha terminato la scuola dell’obbligo (pari a 3,2 milioni di persone). Sempre al Sud scorgiamo le percentuali più preoccupanti: 12,97 in Puglia, 12,30 in Campania, 12,26 in Sicilia e 11,87 in Calabria. I territori con le percentuali più contenute, invece, sono il Lazio (5,82 per cento), il Trentino Alto Adige (5,52 per cento) e il Friuli Venezia Giulia (5,50 per cento) (vedi Graf. 3).
Il quadro generale, infine, rischia di peggiorare ulteriormente alla luce dei profondi cambiamenti che anche il mercato del lavoro subirà nei prossimi anni. La diffusione nei processi produttivi della digitalizzazione e della robotica darà un forte impulso alla disoccupazione tecnologica, incentivando l’espulsione soprattutto delle maestranze meno scolarizzate e con bassi livelli di professionalità.
Secondo gli ultimi dati Ocse 4, infatti, in Italia è a rischio un posto di lavoro su 6 (3 milioni di occupati) se, in tempi ragionevolmente brevi, non si procederà con programmi di formazione e aggiornamento delle competenze da rivolgere, in particolar modo, ai lavoratori meno istruiti.