DI RENATO BONA
Non poteva certo mancare ed è infatti regolarmente presente nel libro “Piccole grandi storie di emigranti” opera di tre cari amici: Ivano Pocchiesa (purtroppo mancato), Mario Fornaro ed Aduo Vio, che lo hanno realizzato nel dicembre 1991 con Media Diffusion e Agenzia Polaris – uno spazio dedicato ad una componente importante del mondo del lavoro bellunese, quella dei seggiolai. Ed ecco dunque il capitolo “I seggiolai (fine ‘700)”, che si apre con una immagine che reca la dicitura: “I seggiolai. In una foto tutti gli strumenti per il lavoro di una vita…”. Accostata ad una interessante sottolineatura: “Gli esperti del mondo lavorativo ed economico del duemila stimolano i giovani a ‘inventare’ il lavoro dopo avere intuito i bisogni della società che cambia. Questi esperti resterebbero oltremodo stupiti se qualcuno li informasse che il loro appello è stato colto… due secoli prima che fosse lanciato”. Sottolineano quindi che fra i precursori dei tempi, un posto di rilievo spetta infatti di diritto ai seggiolai, inventori della sedia impagliata. E ricordano che sono conosciuti nell’Agordino, patria di elezione dell’attività come “conze” o “conza” e nel resto della provincia di Belluno nonché in gran parte del Veneto, come “caregheta”. Protagonisti di “un mestiere antico, che ha trovato radici nelle diverse aree della miseria bellunese a partire da un paio di secoli fa. Era un mestiere che presupponeva l’emigrazione ‘itinerante’: ogni giorno i seggiolai si spostavano da un paese all’altro, a piedi, col carretto, in bicicletta a seconda dei periodi storici. Prendevano le ‘commissioni’, costruivano le sedie in poche ore, consegnavano, ricevevano il compenso pattuito e partivano per nuovi mercati'”. Inevitabilmente, il progresso, nuove comodità, mestieri nuovi, meno faticosi e meglio pagati e, perchè no? il diminuito spirito di sacrificio, hanno “fatto giustizia dei seggiolai vecchio stampo”. secondo Pocchiesa-Fornaro-Vio “Con la sua storia di sudori, il seggiolaio è finito nel dimenticatoio collettivo” cibservandoi dooo nei suoi ricordi il brutto e il bello di una porofessione difficile, avara, amara che tuttavia servì nell’arco di un paio di secoli a far sbarcare il lunario in modo autonomo e dignitoso ad una componente non trascurabile della società. Da registrare, come puntualmente hanno fatto i tre bravi autori, il momento, sia pure effimero di gloria per i seggiolai quando, nel 1978, sono stati fra gli ospiti-protagonisti della famosa tramissione televisiva “Portobello” dell’indimenticato Enzo Tortora da dove partì l’appello di un loro collega toscano ai seggiolai “inventori” di Tiser, frazione del comune agordino di Gosaldo, per una iniziativa volta a propiziare la strada dell’apprendistato per i giovani che trovò riscontro a Rivamonte Agordino con la disponibilità a collaborare dei rari “conza” ancora viventi. Perché fosse impedita la definitiva scomparsa del mestiere che a loro volta avevano ereditato da nonni e bisnonni. Ed è proprio per concorrere alla conservasione quantomeno della memoria storica che la benemerita insegnante Anna Rosson, di Rivamonte Agordino “a cavallo degli anni ’80 ha compiuto una ricerca approfondita, ascoltando dalla viva voce dei ‘conza’ ancora in vita, i ricordi tramandati di generazione in generazione” ricavandone lo studio intitolato “Alla ricerca delle radici” che di seguito è stato proposto nel libro e che si conclude con il capitolo dedicato allo “scapelament” cioè il gergo creato dai “conze” che lo usavano nei paesi e nelle regioni dove temevano di essere compresi facilmente. Il gergo infatti “è un parlare a sé, creato di proposito per essere usato, con ‘animus occultandi’ da un numero limitato di personer che, per ragioni di esistenza e di mestiere, hanno instabile dimora e se ne servono a scopo di difesa contro terzi”. Su iuqesto gergo – si precisa infine – ha fatto ricerche interessanti Ugo Pellis, insegnante glottologo, su informazioni di don Mosè Selle, natiovo di Tiser. Si pensa che sia nato proprio a Tiser circa 200 anni fa e si sia poi diffuso a Don, Sagron, Mis e successivamente a Rivamonte dove, secondo il Pellis, “è stato appreso solo in parte e anche male”.
NELLE FOTO (riproduzioni dai libri: “Piccole grandi storie di emigranti”, “Rivamonte” e “Riva de na òlta” e foto Zanfron): seggiolai di fine ‘700’; Ferruccio De Bernard al lavoro; attimo di sosta per tre “conze”: Mario Moretto, Bepi Bosol e Miro da Velchesina; ragazze “conza” con i maestri seggiolai: Renata Laveder, Daniele Fossen, Lidia Zanin; altri “conza” al lavoro; “conze” a Saronno negli anni ’20: Giovanni Fossen, Vittore Schena, Antonio e Giacomo Zanin, Pietro Schena; Cesare Rosson, Attilio Laveder e Pòpo dei Casenove “conze” in centro Italia; Milano 1925: si riconoscono Giso Schena, Pèp, Giuseppe Schena, Gino Fossen; 1926: “conze” da Riva che “va a sbatocià”nella Pianura Veneta; “careghete” di Riva in Lipona, Francia, negli anni ’30, fra gli altri: Gianni dei Biéi ed Arcangelo Casera; aprile 1934 a Paesana nella Valle del Po: Bèpi Bòsol e il fratello Giacométo con Paolo, Domenico e Pasquale Da Costa, infine: Santo Del Din.