di RENATO BONA
“Mentre ricercavo e raccoglievo tutto quanto potesse essere utile per ricostruire le passate vicende delle valli del Biois e del Cordevole, e salivo le sconnesse e buie scale di polverose soffitte per esaminare carte ingiallite, disegni e foto sbiadite, e conversavo con i più anziani per ascoltare le loro vicende, episodi di guerra e di emigrazione, correvo spesso con la mente ai tempi della scuola quando, ragazzo, è nata in me la vocazione di scrutare nel passato per comprendere meglio il presente”. Esordisce così Bepi Pellegrinon, un caro vecchio amico, autore di “Un ricordo dall’Agordino” con vecchie cartoline della vallata, del quale, nel 1982, oltre ad essere editore (Nuovi Sentieri) è stato anche autore di testo e commento (il piacevole volume ha registrato la collaborazione di: Eronda Graphic Design Belluno, Fotoselezione Monticelli Padova, litografia della trevigiana Antiga di Crocetta del Montello). E aggiunge: “Se mi sono avviato verso questo tipo di cultura lo devo ad un educatore, di stampo antico, oggi quasi del tutto desueto, il Maestro Egisto Da Rif. Appassionato cultore degli usi e costumi locali, fino a quando ha insegnato, ha reso partecipi i propri alunni delle sue conoscenze e li ha invitati ad approfondire lo studio della materia”. In segno di riconoscenza – spiega – dedico a lui questo mio lavoro che illustra l’Agordino dagli inizi di questo secolo, diverso per molti lati da quello attuale, ma uguale nella capacità, laboriosità e tenacia della sua gente”. Una puntualizzazione: le cartoline riprodotte provengono dalla raccolta dell’autore e da quelle di Rinaldo Andrich, Cleto Gnech, Emilio Pollazzon, Gea Ronchi, Flora Rossi e Loris Santomaso. Le immagini che presentiamo in questa occasione sono, salvo specifica diversa indicazione, di Breveglieri. Dopo quella di copertina la prima proposta fotografica è quella della cartolina accompagnata dalla dicitura: “La Stanga è un po’ la porta dell’Agordino. Ancora prima della costruzione della locanda (avvenuta nel 1865, stando ad una data incisa sopra la caratteristica ‘caminaza’) qui gli animali pagavano il pedaggio. Ma i non più giovani conservano ancora grato ricordo di Rosina e Maria Zanella, per decenni conduttrici e ‘vestali’ del locale, abili dispensatrici di succulente cene a base di cacciagione, ammannite e condite con buona cera”. Si prosegue con La Stanga, con la dicitura: “Mentre si svolgono le operazioni di “dogana” e la gente si ristora vicino al fuoco scoppiettante del ‘larìn’, il conduttore della diligenza e una giovane posano in primo piano. Grazie al fotografo c’è la possibilità che nasca un idillio…”. Seguono le due immagini con diciture: “La selvaggia Val di Piero sbocca nel canale del Cordevole nelle vicinanze della Stanga. Un sentiero fra alte ed impervie pareti di roccia conduce fino a una superba cascata, tanto celebrata nel secolo scorso, dal momento che anche il principe Amedeo di Savoia volle ammirarla”; e: “Ma tutta la vallata nel tratto Peron-Le Miniere è un susseguirsi di ripide bastionate rocciose che si restringono talvolta quasi a mo’ di forra, dalle quali, prima di consentire l’approvvigionamento idrico della Val Belluna, precipitavano spumeggianti cascate”. Ancora: “Al Ponte della Muda s’imbocca la gola di Castèi. Il manufatto, che permette di attraversare il Cordevole, sormontava il torrente con due arcate di pietra. Progettato dall’ing. Angelo Sommariva e costruito nel 1865, aveva resistito (fra pochi dell’intera vallata) alle ‘brentane’ del 1882, ma nulla poté contro la furia degli elementi naturali scatenatisi il 4 novembre 1966”; “Dove la Pissa precipita nel Cordevole col suo velo d’acqua che sgorga da un foro della roccia, la gola dei Castèi si restringe a tal punto da acconsentire appena il percorso al torrente. Molti visitatori della zona che nel secolo addietro percorrevano la vallata, giunti a questo punto s’interrogavano se era conveniente proseguire o se non fosse invece più consigliabile e salutare ritornare sui propri passi”; “Lungo la Riva (salita) dei Castèi , diligenza, Carrozze postali e viandanti percorrono la strada verso Agordo. Un viaggio a Belluno rappresentava, almeno ai tempi dei nostri nonni, un avvenimento eccezionale e non privo di seri pericoli, tanto che molti, prima di accingervisi, stendevano le disposizioni testamentarie”. Altro argomento (con foto Ed. Sorelle Pinon): “La pratica della caccia nell’Agordino è forse antica quanto la presenza dell’uomo. E ciò significa anche padronanza assoluta del territorio. Solo i cacciatori (e i bracconieri) conoscevano infatti tutte le balze, le cenge, gli anfratti, i passaggi (i ‘viaz’), le poste della montagna, sulla quale rincorrevano la selvaggina e principalmente il camoscio. Saranno proprio i cacciatori le prime guide dei turisti ed alpinisti che conquistarono le Dolomiti agordine. Fra questi, degni allora di una cartolina, Giuseppe, Severino ed Andrea Da Roit, di La Valle”. Ancora viabilità: “Punto obbligato sulla via che conduce ad Agordo è il Ponte dei Castèi. Qui gli agordini, sia nel 1848 che nel 1945, tennero fieramente testa ai ‘todésch’ che tentavano di occupare il territorio o di aprirsi un varco verso il nord, anche se oggi l’iscrizione che ricorda ‘l’unanime plebiscito’ per l’unione dell’Agordino all’Italia nel 1866 fa riflettere un po’”; “La strada continua verso Agordo dirimpetto al Sass de San Martin. In basso, prima che lo sfruttamento idroelettrico impoverisse i torrenti delle nostre montagne, il Cordevole spumeggiava gonfio d’acqua e permetteva ancora la ‘menada’, cioè la fluitazione del legname. La fauna ittica era assai copiosa: trote, anguille e ghiozzi. Qualcuno ricorda ancora qualche bell’esemplare di ‘lodra’ (lontra)”. Presenza femminile (autore ignoto): “Bisognava porre in evidenza la gerla, il rastrello, la falce, le mucche al pascolo, l’erba da tagliare. Le donne stanno ad indicare che anche il gentil sesso, e soprattutto quello, partecipava alle operazioni”. Segue: “Eccoci alle Miniere. Siamo nel 1901. Gli stabilimenti per la procedura fucinale dei minerali sono in piena attività, grazie anche all’impulso dato dal concessionario Magno Magni, un industriale vicentini che sarà poi eletto deputato. Nel corso dell’anno si producono circa quindicimila tonnellate di minerale, con 219 lavoratori impegnati, Le condizioni di lavoro non sono però delle migliori: lo storico sciopero di tre mesi nel 1911 è alle porte”. Immagine al femminile: “In tempi di jeans e minigonne, potrà forse far sorridere il ‘pesante’ abbigliamento di una valligiana agordina di tanti anni fa. E pensare che il vestito ‘da festa’, confezionato da mani sapienti, doveva durare una vita intera, per essere poi donato, ancor in buone condizioni, alle figlie o alle nipoti. Tutto l’opposto di quanto avviene ai nostri giorni, abituati come siamo a rincorrere le frivolezze della moda”. Ancora ponti: “A Pont’Alt che è frazione di Rivamonte, poco discosto dalla strada per Agordo, l’ ‘Om Selvàrech’ scendeva tutti gli anni dal bosco il 25 d’aprile per inaugurare il ballo all’aperto. La cartolina del ponte, pezzo forte dell’iconografia agordina, reca una firma illustre con la scusante ‘non potuto prima’: quella di Roberto Paganini, ingegnere ferroviario, deputato al Parlamento, tecnico di valore che cercò altrove lo spazio economico di cui l’Agordino era allora privo; ultima immagine (G. Modiano e C.) proposta in questo servizio: “Dal ponte, secondo le indicazioni delle guide turistiche dell’epoca (fornite dal Brentari, dal Feruglio e da altri), si apre improvvisamente inattesa la vasta e bella conca di Agordo, circondata da verdi colline fin su ai 2000 metri e dalla sovrastante pittorica, eccelsa addentellatura bianca della sua dolomia ”.