di Renato Bona
“Quando Peppi, in un giorno agli albori del secolo giunge in vista del Marcora, si sente ramingo e solo. Chissà perché. Lo avranno reso attonito le bellezze delle Dolomiti? Oppure la compostezza di queste case, di quel ponte di legno, che la dicono lunga intorno alla civiltà del luogo?”. Quanto precede, scritto da Fiorello Zangrando, grande giornalista de “Il Gazzettino”, purtroppo scomparso, è la dicitura della foto che apre la serie di immagini tratte dal libro “Un saluto dal Cadore” del 1981, Nuovi Sentieri Editore di Bepi Pellegrinon, con la collaborazione di Eronda Grahic Design Studio, foto selezioni di Monticelli di Padova, stampa Arti Grafiche Tamari di Bologna e con ristampa delle vecchie cartoline della raccolta Benito Pagnussat. Per l’immagine successiva Zangrando scriveva: “Ecco inventata anche la villa che simula le altitudini della montagna, e allora fa finta di svettare. E’ un’evidente intrusione nel corpo tradizionale degli edifici. E’ un innesto chirurgico. Ma il progresso ha, oltre ai suoi diritti, anche le sue leggi. San Vito si adegua con villa Goria”. Terza immagine così commentata dal giornalista cadorino (di Perarolo): “Quegli abiti di povera cotonina che indossano le due ragazzine in primo piano hanno la stessa valenza semantica della ripida parete che sovrasta la chiesa di San Vito. Parlano, dicono. Rammentano la ‘memoria pericolosa’ di Christian Metz. Tra poco l’universo immaginifico travolgerò tutto”. Si prosegue leggendo, per la quarta foto: “Ormai non ne restano più molte di costruzioni come queste. Architetti e geometri hanno stabilito che bisogna rinnovare. Giusto, magari. Ma la poetessa Ada Negri funziona ancora, quando si lascia scrivere che ‘De l’alba al mite brivido/ il paesello si è destato or ora’. Che fosse vero?”. E siamo così giunti alla quinta immagine con didascalia che dice: “Già. San Vito, un altro di quei centri cadorini che hanno fatto, più di altri, la storia della contrada, anch’esso piccola capitale, quella dell’Oltrechiusa. Ricco di storia antica, fucina d’ingegni e di lavoro possiede la grazia di sgranchirsi le gambe e le braccia sull’ampio pianoro”. Proseguendo questo ipotetico gradevole viaggio in Cadore, approdiamo alla sesta immagine, a colori, che porta il titolo “San Vito di Cadore col Monte Pelmo m. 3169” e la dicitura: “Qui la scena è tipicamente boschereccia. Odora di composizione lontano un miglio. Perché da una parte, cioè nell’insieme, protagonisti sono la Chiesa, il Pelmo, la strada e il torrente bene imbrigliato. Ma l’attenzione si vuole che ricada sulla coppia cittadina che inscena uno spettacolo”. A seguire: “Ricordo perfettamente il ritornello di una canzone degli anni Trenta che a ritmo di valzer-marcetta inneggiava ‘Cadore, mio bel Cadore, sei tu…’. Forse arriverà dopo che l’onnipresente Breveglieri ha scattato quest’inquadratura a Borca. Dove, sarà retorica, ambiente e costruzioni si integrano”. Ancora a Borca per leggere. “Chi manda questa cartolina è impressionato dalla mole imponente del Pelmo e dell’Antelao. Eppure la fotografia dice poco di tale tema. Quella luna sull’angolo a sinistra e quelle casette in fila a mezza via trasmettono un’impressione di routine. Ma guardate quel cimitero in basso…”. Andando avanti, ecco: “I fili della luce, simbolo ennesimo dello sfruttamento della montagna, che produce a gratis il cosiddetto carbone bianco, sono arrivati anche a Borca. In compenso la strada è poco più che un sentiero in terra battuta. E alla vecchietta, che lavora, non resta che guardare chi arriverà”. E’ intitolata “Costume di Borca di Cadore” la fotografia di: “Questa donna giovane di Borca è invece molto più severa e stringente. In Oltrechiusa il costume punta ad imitare l’influsso del Nord. Il corpetto e la gonna sono magnifici. Ma non basterebbero. Occorre che, a mo’ di arredamento, compaiano il secchio di rame e il ballatoio. Altrimenti il gioco non si fa”. Ultimo blocco di riproduzioni fotografiche aperto da: “Cadore” con questo testo di Fiorello Zangrando per la bella panoramica: “Ci manca lo zufolo e poi è fatta. Questi pastori assopiti secondo le indicazioni del regista, il milanese Modiano, forniscono a Eda una buona occasione per saluti e baci da Vodo. Qui siamo già alla composizione sofisticata con bella toccata e fuga di tetti a sfumare sui monti”. Restiamo a Vodo: “Baldassarre Gregori di Vodo dispensa il suo paese a cartoline servendosi di egregio negativo del farmacista Marchetti. E’ strano ma pare che il paese non abbia un’individualità, un’anima. Ma poi si guarda meglio. E si scopre la fila delle case che al fondovalle un’anima la danno”. Ed ecco: “Peaio, che arranca anche lui come può. E che ha dato i natali ad un personaggio famoso, quell’Italo Marchioni che in Merica brevettò alla fine del secolo il cono di cereale per innestarvi il gelato. Un paese di emigranti, ma decoroso, con costruzioni che sono costate fatica”. Ci avviamo a conclusione della tappa con: “Masariè di Cibiana, altra storia di un paese che si è mantenuto serio lungo la costa del monte e nel corso del tempo. Anche qui una dicotomia evidente, sostanziale. In basso il paese, cioè la vita della gente; in alto le montagne sublimi che però interessano più che altro i forestieri”. Siamo al traguardo con: “Paese industrioso Cibiana, dove una volta si forgiavano le migliori chiavi di tutta la zona. Non ha avuto molta fortuna. Anch’esso si è spopolato abbastanza. Ma bisogna vedere come si è gestito bene, come bene ha adeguato al sito la propria armonia abitativa. E poi, quell’albero…”.
LE FOTO, nell’ordine, sono di: Art Progress Milano; Soncin; Lorenzo Ossi; R.S.P.; le sei successive di Breveglieri; Modiano; Marchetti; ancora Breveglieri; C. Zampol; Del Favero.