di RENATO BONA
E così, dopo svariate “tappe” concludiamo oggi il “viaggio” intrapreso settimane orsono con la preziosissima guida rappresentata da “Un saluto dal Cadore” il libro che Nuovi Sentieri Editore di Bepi Pellegrinon ha realizzato nel 1981 per la collana “Vecchie cartoline” con testo e commento di Fiorello Zangrando, giornalista de Il Gazzettino, purtroppo scomparso, e le vecchie cartoline della raccolta di Benito Pagnussat. Hanno collaborato all’ottima iniziativa editoriale: Eronda Graphic Design Studio di Belluno, Monticelli di Padova per le fotoselezioni, Arti grafiche Tamari di Bologna per la stampa. Prima di entrare nel dettaglio delle ultime immagini, citiamo il collega giornalista Zangrando che ha scritto fra l’altro: “Queste cartoline hanno distribuito al mondo un’idea ottica e semantica del Cadore fatta di fontanelle e di tabià, di forosette folcloristiche (giovane contadina – ndr.) e di vallate ancora poco invase dall’edilizia fantasiosa o di maldestro e ossessionato astrattismo. Queste cartoline che ornavano le vetrinette ‘quadriglié’ dei modesti ‘buffet’ di cucina, magari integrate da ingenue indicazioni augurali, da spiegazioni geografiche approssimative e da improbabili ‘edelweiss’ che hanno fatto tanto ‘kitsch’. I saluti e i baci al bromuro dal Cadore li hanno inventati e diffusi loro, questi artefici, questi bottegai, talora questi artisti che abbiamo enumerato e chissà quanti altri. Un patrimonio. E allora forse non è semplice revival, non è puro collezionismo che anima Benito Pagnussat… che compera, raccoglie, cataloga, scambia cartoline: soltanto del Cadore ha messo insieme diciamo settecento pezzi: l’ho fatto per affezione, per amore, dice. Per valutare le differenze tra ieri e oggi’”. Partiamo dall’immagine di Zoppè per la quale il giornalista ha scritto: “Qui si è portati a ricordare un grande pittore zopparino, Fiorenzo Tomea. Il paesaggio è più dolce, la montagna più distaccata. Qui dominano i verdi dei prati e dei pascoli, e quelle abitazioni minuscole che sembrano i personaggi di una strana irripetibile sagra dell’umanità”. Segue quella con dicitura: “Ditemi se non è un quadro di Masi Simonetti, questo ritratto di Zoppè. Col Pelmo alto e minaccioso e giù a scalare quelle case che non si capisce bene che cosa ci stiano a fare lassù, e tuttavia la gente ci è vissuta secoli e anche adesso ci vive e se vive fuori ci torna sempre”. Tocca a: “Le montagne per lungo tempo sono state complessivamente ostili all’uomo, scriveva Dino Buzzati. Che cosa volete che se ne facesse? Giustissimo. Ma non deve neanche essersene creato un problema. Le subiva, diciamo, senza frustrazioni. Lasciava che vivessero per conto loro, senza tormentarle”. Ci spostiamo e: “In mezzo a Venas ci passa la strada d’Alemagna, che dalla Padania conduce al Norico. Non ci sono automobili. Un carro, ben che vada se passa, può sempre fermarsi. E allora alt, tutti fermi, un lampo al bromuro ed ecco immortalato un gruppo di famiglie, posto di traverso vicino alla chiesa”. Ancora a Venas: “Capitale dei gelatieri. Barriera dell’Oltrechiusa, della più fiera tradizione longobarda. Eccola adagiata sul suo bravo costone di montagna, come tutti gli altri paesi, con quei campi colore della brina che compongono, chi lo direbbe?, un bel quadro”. Proseguiamo con: “Sorgo, orzo, fagioli, patate e chissà quante altre cose, che crescono stentate ma crescono. Basta avere in testa l’idea di sfruttare al massimo le risorse della terra. Lo dimostrano questi campi di Valle, gelosamente preservati da un abitato lucido e rigoroso che si estende ai loro bordi”. Leggiamo a questo punto ciò che Zangrando scrive del Monte Zucco: “Non è granché come architettura naturale, ammettiamolo. Ma le case di Valle e la chiesa di San Martino si comportano come creature. Sembrano fazzoletti stesi al sole pigro ma sempre sole. Certo che la vita era dura. Eppure venivano su paesi come questo, col timbro della civiltà”. Sempre per Valle: “Sara Coletti, firmando e spedendo questa cartolina, non avrebbe certo immaginato di consegnarci, via Pagnussat-Pellegrinon, un altro tratto essenziale di Valle. Quello della borgata Costa. E’ vero che mancano Mazinga e il rock, ma in compenso c’erano gli alberi e le case a misura d’uomo”. Restiamo in zona per: “Questa fontana color cilestrino (azzurro molto chiaro – ndr.) fa tanta tristezza. Il fotografo non si è contentato di catturarla, ha voluto aggiungervi una pennellata di pittura. E’ la bella caratteristica vasca vicino alla grande curva della strada di Valle, che dietro ha un egregio palazzo, modestamente con bifora”. Ci trasferiamo a Vallesina di cui leggiamo: “Là sotto lungo il Boite, dopo messa a ferro e a fuoco dai nazisti. Luogo di fucine e molini. Sede di un ceppo che ha tramandato il cognome Agnoli, caro anche a chi scrive. Il monte Antelao, così maestoso, visto da qui incute rispetto sì, ma non mette paura. E’ come di casa”. Altra immagine a colori di cui Fiorello Zangrando spiega: “Un altro di quei passaggi obbligati che l’occhio quadrato coglierà sempre più di frequente. Breveglieri: non gli è parso neanche vero d’imbroccare la fuga di una serie di tetti rustici che s’inerpicano verso la montagna E, in primo piano, panni distesi al sole, belle bandiere”. Ci avviciniamo al traguardo finale e leggiamo: “Quando si dice c’era una volta… ecco, basta guardare qui. Tanto verde, prati e campi regolari, alberi, costruzioni venute su con una certa sapienza, almeno quella dell’ubbidienza alle esigenze. Tutte le infrastrutture, nel bene e nel male, sono ridotte all’osso. Strade piccole, niente fili…”. E quindi: “E’ siglata Amedeo Del Favero, un altro locale, questa sfilata di militari a Tai. Il grande albergo che al Cadore s’intitola sopporta tranquillamente la guarnigione che se ne va sulle pendici vicine a compiere le manovre. E poi rientra trionfale in sede. Siamo ai confini della patria”. Sorpresa: “Un’automobile è arrivata arrancando fino a Damòs. Un Coletti trasfonde la foto in cartolina. Siamo al limite dell’avventura. Giungere fin quassù con un veicolo sbuffante e pesantissimo costituisce praticamente un’impresa. La quiete centenaria del luogo ha perduto il suo incantesimo”. Ancora due cartoline, quella per cui si legge: “La ‘camera’ è giunta fin qui, nella quiete di Damòs, che è il riassunto di un paese. Le case sono poche, gli abitanti pochissimi. In compenso c’è la chiesa con preziosi dipinti, e vicino il cimitero. Tutto in famiglia. Tra poco il recinto dei defunti porterà anche una lapide: per un alpino”, e quella, l’ultima della serie, per cui Zangrando ha scritto: “Quando una casa è un piccolo paese. Verrebbe voglia di citare Le Corbusier, se non si temesse di suscitare le ire e le malizie degli architetti. Qui dentro in quest’edificio che adesso è stato ricostruito chissà come, c’era un posto per tutti e per tutto, compreso il sole e la voglia di vivere”.
LE FOTO proposte in questo servizio sono di: Breveglieri, A. Marchetti, Amedeo Del Favero e Coletti.