Sui Domìni Collettivi ossia i cosiddetti Usi Civici, le Regole &altri – sesta parte —– di Tiziano De Col
Facendo seguito alle prime cinque parti di questa succinta e didascalica trattazione sui Domìni Collettivi, Agordini in special modo, consigliamo la lettura delle prime cinque parti da qui raggiungibili :
Nella prima parte di queste nostre trattazioni, ci siamo soffermati nell’ illustrare , in modo sintetico, le innovazioni e conferme normative dettate dalla Legge 168/2017 “Norme in materia di domìni collettivi“.
In questa sesta parte tenteremo di approfondire l’argomento riportando una sentenza del Tribunale Amministrativo del Veneto, che , nel suo dispositivo, ben definisce i rapporti che intercorrono tra il Comune Amministrativo in qualità di gestore del Domìnio Collettivo ed i cittadini residenti, titolari di quel Domìnio.
TAR del VENETO- SENTENZA 22 GIUGNO 2021 N.837 per il COMUNE DI ………………. IN TEMA DI GESTIONE COMUNALE DI BENI DI ORIGINARIA APPARTENENZA DELLA COMUNITA’ DI ABITANTI
“Interessante e ben motivata sentenza del TAR del Veneto che ha ritenuto che illegittimamente il Comune di ……………. ha gestito con contratti di affitto pluriennali la Malga pascoliva …………. e pascoli annessi. Il Comune infatti non ha considerato che la Malga e i pascoli era stati riconosciuti di originaria appartenenza collettiva della Comunità di abitanti di Auronzo dal Commissario per gli usi civici di Venezia, dott. Antonini, con sentenza del 20 luglio 1943 debitamente trascritta e con vincolo risultante in catasto.
In tale situazione di fatto e di diritto il Comune, con il concedere a terzi l’uso esclusivo del bene della comunità per un considerevole lasso di tempo, ha sottratto il bene all’uso collettivo della comunità dei titolari senza richiedere l’autorizzazione dell’Ente di controllo. Il Tar afferma anche che l’affidamento per lungo tempo del bene della collettività all’uso esclusivo di terzi richiede il coinvolgimento degli effettivi titolari del bene e cioè della comunità originaria dei residenti che deve esprimere il suo consenso con una procedura adeguata. Nella mancanza dell’ente specifico di gestione dei beni della comunità, il comune amministrativo deve limitarsi alla gestione ordinaria “ (Tratto da demaniocivico.it)
Qui la sentenza completa:
Qui a seguito riportiamo la parte della sentenza che più interessa la nostra trattazione, che evitiamo di commentare, in quanto, a nostro avviso, ben illustra i concetti e le azioni alle quali debbono attenersi i Comuni nell’esercizio di questa loro attività di gestione dei Domìni Collettivi in Amministrazione separata. Non lo diciamo quindi noi, non è una nostra semplice opinione, ma lo dice chiaramente una sentenza del Tar Veneto:
—— Omissis —–
3. Fondato è invece il secondo profilo di censura del primo motivo di ricorso con cui il ricorrente lamenta la violazione della legge 16 giugno 1927 n. 1766e della legge regionale n. 31 del 22 luglio 1994, in quanto l’Amministrazione resistente avrebbe realizzato un mutamento di destinazione del bene senza porre in essere il procedimento previsto da tali disposizioni, mutamento che richiederebbe la preventiva autorizzazione da parte del Ministero per l’Economia Nazionale (poi Ministero dell’Agricoltura, oggi della Regione).
3.1. Gli usi civici sono diritti reali millenari di natura collettiva, volti ad assicurare un’utilità o comunque un beneficio ai singoli appartenenti ad una collettività.
Essi sono disciplinati a livello statale: dalla legge n. 168 del 20 novembre 2017e dalla legge 16 giugno 1927, n. 1766 (artt. 1-34 e 36-43) nonché dal relativo regolamento di esecuzione di cui al r.d. n. 332 del 1928. A livello regionale gliusi civici sono disciplinati dalla legge n. 31 del 22 luglio 1994.
In base all’art. 1 della legge n. 168 del 2017, “Gli enti esponenziali delle collettività titolari dei diritti di uso civico e della proprietà collettiva hanno personalità giuridica di diritto privato ed autonomia statutaria”; essi amministrano “i beni di proprietà collettiva e i beni gravati da diritti di uso civico” e sono dotati di capacità di autonormazione e di gestione “del patrimonio naturale, economico e culturale, che fa capo alla base territoriale della proprietà collettiva, considerato come comproprietà inter-generazionale”.
In mancanza di un ente esponenziale, tali beni sono gestiti dai comuni con amministrazione separata (art. 2). I beni infatti devono ritenersi appartenenti non all’amministrazione-apparato, intesa come persona giuridica pubblica, ma all’amministrazione-collettività, in quanto tali amministrati dal Comune come ente esponenziale preposto all’effettiva realizzazione degli interessi della collettività dei residenti.
Il Comune amministra quindi questi beni non in quanto di sua proprietà, bensì in quanto appartenenti alla collettività di riferimento – ai residenti di quel determinato territorio – al fine di rendere effettive le varie forme di godimento e di uso collettivo del bene.
In particolare l’amministrazione dei beni collettivi avviene in forma “duale”: al Comune – quale ente esponenziale dei diritti della collettività – spetta l’ordinaria amministrazione di tali beni, mentre a fronte di iniziative di carattere straordinario – come è il caso di alienazioni o di mutamenti di destinazione – alla Regione spetta il necessario potere autorizzatorio.
3.1.1. Per quanto tali beni siano soggettivamente privati, per costante giurisprudenza sono soggetti ad un regime giuridico sostanzialmente corrispondente a quello dei beni demaniali (Cass., Sez. III, 28 settembre 2011,n. 19792; Cass. Sez. III, 28 settembre 2011 n. 19792) e quindi sono di norma
inalienabili, incommerciabili ed insuscettibili di usucapione (art. 3, comma 3,legge n. 278 del 2017).
La sottoposizione di tali beni ad un regime in parte riconducibile a quello dei beni demaniali è correlata alla necessità di garantirne il godimento e l’uso collettivo e altresì la conservazione – l’intergenerazionalità – in quanto anche strumenti di tutela dell’ambiente e del paesaggio (Corte cost., 31 maggio2018, n. 113; Corte cost. 11 maggio 2017, n. 103).
La destinazione del bene gravato da uso civico, come bosco o come pascolo permanente, non può pertanto essere modificata, salva la possibilità di richiedere l’autorizzazione (oggi di competenza della Regione in luogo del Ministero) a derogarvi attraverso un procedimento che anche oggi ha carattere tipicamente eccezionale e non può né deve risolversi nella perdita dei benefici, anche solo di carattere ambientale per la generalità degli abitanti, unicamente a vantaggio di privati (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 25 settembre 2007,n. 4962; Cons. Stato, Sez. VI, 6 marzo 2003, n. 1247).
Ai sensi dell’art. 12 della legge n. 1766 del 1927 nonché del combinato dell’art. 3 della legge n. 178 del 2017, dell’art. 3 della legge n. 97 del 1994 e dell’art. 10 della legge regionale n. 31 del 1994 tale eccezionale deroga richiede l’autorizzazione dell’ente di controllo ed in particolare della Regione.
3.1.2. Anche l’attribuzione di un bene gravato da uso civico in concessione in uso esclusivo ad un terzo per un consistente lasso di tempo comporta una sottrazione del bene all’uso collettivo ed implica un mutamento di destinazione del bene che richiede l’autorizzazione dell’ente di controllo.
3.1.3. L’affidamento del bene collettivo in concessione a terzi richiede inoltre il coinvolgimento procedimentale degli effettivi titolari del diritto collettivo –quindi della collettività dei residenti – e altresì lo svolgimento di una procedura competitiva.
E’ stato infatti affermato che: “Quando il mutamento di destinazione “in deroga” delle terre sottoposte ad uso civico si risolve in un’attribuzione a terzi di diritti spettanti alla collettività, l’iter per il rilascio della relativa autorizzazione deve quindi essere22/12/21, 13:44 10/15
necessariamente ricondotto all’ambito proprio dei procedimenti di concessione dei beni demaniali, in quanto ha l’identico effetto di privare i componenti della collettività (che ne sono i veri titolari) del beneficio, per trasferirlo a soggetti privati che richiedono l’utilizzazione imprenditoriale del terreno a fini di lucro personale per un consistente lasso di tempo.
Infatti, se i diritti appartengono alla collettività e questi sono solo amministrati dal Comune sotto il controllo della Regione, è evidente che le relative dinamiche procedimentali di gestione non solo debbano corrispondere al predetto assetto istituzionale, ma soprattutto debbano comunque avvenire nel rispetto dei cardini della pubblicità, imparzialità, trasparenza e non discriminazione in quanto, analogamente alle concessioni di beni demaniali, anche qui il procedimento finisce per costituire un utilizzo privato di beni della collettività che, nel favorire le possibilità di lucro di un determinato imprenditore in danno degli altri, altera le naturali dinamiche del mercato (arg. ex Corte Conti 13 maggio 2005 n. 5)” (cfr. ConsStato, Sez. IV, 26 marzo 2013, n. 1698).
La natura comunque “pubblica” dei diritti di uso civico comporta, in linea generale, l’applicazione dei principi di derivazione comunitaria, di concorrenza, parità di trattamento, trasparenza, non discriminazione, e proporzionalità, di cui all’articolo 1 della legge n. 241 del 1990 e s.m.i, i quali non solo si applicano direttamente nel nostro ordinamento, ma debbono informare il comportamento della P.A., anche quando, come nel caso di concessioni di diritti su beni pubblici, non vi sia una specifica norma che preveda la procedura dell’evidenza pubblica (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 19giugno 2009, n. 4035).
Sul punto è stato infatti affermato che “In coerenza […] della ricordata natura collettiva ‘duale’ dei diritti reali, l’interpretazione costituzionalmente orientata ai cardini dicui all’art. 97 Cost. impone che le procedure concernenti le richieste di autorizzazione al mutamento di destinazione debbano anche rispettare le regole di cui alla legge 7 agosto1990, n. 241, e s.m.i. ed in particolare i principi generali:
– del contraddittorio, di informazione e di partecipazione pubblica: pertanto, prima di procedere a qualunque iniziativa in materia di deroga ex art. 12 della L. n. 1766/1927,22/12/21, 13:44 11/15
le amministrazioni comunali – la cui rappresentanza è pur sempre in nome della loro collettività – devono dare massima notorietà a mezzo di pubblici avvisi anche sul proprio sito internet, dell’esistenza dell’iniziativa ed delle relative condizioni generali, al fine di consentire la partecipazione e richieste di chiarimenti, l’emersione del dissenso, il vaglio delle eventuali obiezioni dei soggetti appartenenti alla comunità che sono i reali titolari dei diritti civici;
– di trasparenza, pubblicità ed imparzialità: la procedura ad evidenza pubblica non può ch eseguire il canone generale di cui all’art. 12 della legge n. 241 del 1990 che è espressione concreta dei cardini costituzionali di cui all’art. 97 della Costituzione a presidio dei principi dell’imparzialità e della trasparenza (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 10 maggio 2005,n. 2345). La predetta norma (oltre ai casi ‘… di sovvenzioni e sussidi, ecc., …’)disciplina, senza distinzioni di sorta, tutte le concessioni concernenti ‘…l’attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati’ tra i quali rientrano indubitabilmente anche le fattispecie di cui all’art. 12 della legge n. 1766 del1927. Pertanto, l’autorizzazione alla cessione ovvero al mutamento di destinazione di un bene civico deve essere senz’altro ‘…subordinata alla predeterminazione ed alla pubblicazione da parte delle Amministrazioni procedenti dei criteri e delle modalità cui le Amministrazioni devono attenersi’ (come recita il cit. art. 12)” (cfr. Cons Stato, Sez.IV, 26 marzo 2013, n. 16989).
In definitiva è necessario l’espletamento di un confronto concorrenziale non solo per l’individuazione di tutti i soggetti potenzialmente interessati, ma anche per il conseguimento del massimo utile per l’universitas civium. Ciò richiede l’esperimento della pubblicità e la predeterminazione dei criteri di assegnazione che devono essere resi previamente noti a garanzia della trasparenza e dell’imparzialità dell’azione amministrativa e dalla successiva puntuale verifica dell’applicazione degli stessi nel provvedimento con cui il Comune chiede alla Regione l’assenso al mutamento di destinazione.
3.1.4. In conseguenza delle affermazioni che precedono, il Comune nel caso in esame:22/12/21, 13:44 12/15
a) in primo luogo, avrebbe dovuto attivare un contraddittorio tra gli effettivi titolari del diritto – i residenti del territorio di riferimento – sia per chiarire definitivamente la natura della proprietà collettiva (chiusa o aperta), sia per valutare le diverse modalità di utilizzo dello stesso (in forma collettiva o informa individuale) e le forme di affidamento (la durata della concessione, i requisiti di partecipazione, i criteri di valutazione delle proposte ecc.), al fine di garantire la maggiore utilità per i titolari medesimi. In questo senso avrebbe dovuto sentire “i comitati frazionali se costituiti, o il Comitato per l’amministrazione separata dei beni di uso civico di cui all’articolo 2, comma 3, della legge regionale n. 31 del1994” o in loro assenza avrebbe dovuto dare pubblica notizia (es. con pubbliche affissioni, albo pretorio, siti informatici ecc.), dell’esistenza di una richiesta di deroga al diritto civico;
b) in secondo luogo, avrebbe dovuto acquisire l’autorizzazione regionale al mutamento di destinazione dei beni come sopra definito ai sensi dell’art. 8della legge regionale n. 31 del 1994.
Resta comunque fermo – in caso di affidamento in uso esclusivo a terzi in concessione – l’obbligo di attivazione di un confronto competitivo tra i soggetti interessati attraverso la preventiva pubblicazione di un avviso contenente i requisiti e gli elementi di ammissione (ovvero una sintesi delle proposte di utilizzo e delle utilità promesse), i criteri di valutazione delle eventuali richieste alternative, nonché le modalità procedimentali per la valutazione delle diverse ipotesi.
3.2. Nella fattispecie in esame l’Amministrazione resistente ha posto in essere la procedura competitiva necessaria a garantire i principi di trasparenza e di parità di trattamento nella scelta del concessionario; tuttavia, come lamentato dal ricorrente, non risulta avere posto in essere il procedimento di cui all’art.12 della legge n. 1766 del 1927 e all’art. 10 della legge regionale n. 31 del 1994ed in particolare non risulta avere attivato alcun contraddittorio procedimentale con gli effettivi titolari del diritto collettivo né risulta avere conseguito la necessaria autorizzazione da parte della Regione.22/12/21, 13:44 13/15
In tal modo sono state omesse quelle garanzie procedimentali volte ad assicurare il migliore godimento dei beni da parte degli effettivi titolari – i residenti nel territorio di riferimento – e altresì ad assicurare l’interesse pubblico alla conservazione del bene come strumento di tutela dell’ambientee del paesaggio.
3.2.1. Né risultano condivisibili le argomentazioni con cui il Comune contestala fondatezza di tale censura sostenendo che nel caso di specie non si sarebbe verificato alcun mutamento di destinazione del compendio immobiliare inquestione in quanto l’affidamento della concessione oggetto di impugnazione non richiede alcuna modifica strutturale ed è finalizzato al medesimo uso già previsto dal precedente contratto di affitto stipulato con il ricorrente.
Da un lato infatti, come si è detto, l’affidamento in concessione in uso esclusivo ad un terzo di un bene gravato da un dominio collettivo per un consistente lasso di tempo – nel caso di specie nove anni – integra un mutamento di destinazione del bene che richiede lo svolgimento del procedimento eccezionale di deroga con il coinvolgimento della collettività dei residenti e l’autorizzazione regionale.
Dall’altro lato, per costante giurisprudenza la possibilità di consentire in favore dei privati, con atto di concessione o con contratto di affitto, il godimento individuale di un terreno demaniale di uso civico, temporaneamente non utilizzato dalla comunità, può avere solo carattere precario (Cass., Sez. III, 12 giugno 2020, n. 11276).
Deve quindi ritenersi che, alla scadenza del contratto di affitto concluso con ilricorrente, sia venuta meno la deroga e il compendio immobiliare sia pienamente rientrato nell’originaria destinazione di bene collettivo, salva l’eventuale attivazione di un ulteriore procedimento di mutamento di destinazione nel rispetto dei principi sopra delineati.
4. Fondato – nei limiti e nei sensi di seguito precisati – è altresì il secondo motivo con cui il ricorrente lamenta la mancata previsione di forme di priorità in favore degli imprenditori agricoli residenti nel territorio comunale.22/12/21, 13:44 14/15
4.1. Come già rilevato il Comune, nel porre in essere gli atti di gestione dei beni oggetto di domini collettivi, agisce quale soggetto rappresentativo degli interessi dei titolari del diritto e quindi dei residenti, appartenenti alla collettività di riferimento.
In questa veste il Comune tiene conto dei rilievi svolti dai residenti nella fase procedimentale “di contraddittorio, di informazione e di partecipazione pubblica” valutando se, nel loro interesse e nel rispetto della funzione paesaggistico-ambientale dei beni in questione, sia più opportuno confermare l’utilizzo indiviso del bene da parte dell’intera collettività di riferimento o invece consentirne l’utilizzo esclusivo in via temporanea da parte dei richiedenti, eventualmente non appartenenti a tale collettività.
E qualora decida di adottare quest’ultima soluzione, il Comune – in sede di predisposizione degli atti per lo svolgimento della gara finalizzata alla scelta del concessionario – è tenuto a considerare altresì, sempre sulla base dei rilievi emersi nella fase del contraddittorio procedimentale, l’introduzione di criteri di valutazione delle proposte ed eventualmente di forme di prelazione – a parità di condizioni – volte a valorizzare gli interessi dei residenti.
4.2. Quanto sopra non risulta in contrasto con i principi comunitari e nazionali di parità di trattamento e concorrenza.
Va infatti considerato che, come chiarito dal legislatore nel 2017, i beni gravati da domini collettivi non sono beni demaniali, bensì beni di interesse generale appartenenti alla collettività di riferimento e sottoposti sotto alcuni profili al regime giuridico dei beni pubblici, a garanzia della conservazione del vincolo di destinazione paesaggistico-ambientale.
In questo senso, l’introduzione di profili di valorizzazione degli interessi dei residenti anche in gara costituisce un corollario della particolare natura giuridica di tali beni.