Con l’arrivo di settembre è ormai tempo di bilanci per la stagione estiva 2020. L’arrivo di un gran numero di turisti, forse come non mai si era visto, concentrato in un lasso di tempo piuttosto breve, ha messo a dura prova le Dolomiti. La pandemia in corso ha dirottato sulle nostre montagne un numero elevatissimo di ospiti, molti dei quali, questa è l’impressione, senza nessuna conoscenza della montagna perché abituati ad altri contesti vacanzieri. Da un lato c’è quindi la soddisfazione di chi lavora di turismo, che in qualche modo ha recuperato in toto o in parte le perdite della prima parte della stagione, ma dall’altra c’è la profonda insoddisfazione di chi la montagna la concepisce in ben altra maniera, compresi molti abitanti dei luoghi interessati dall’ondata. Farne una guerra di fazioni non porta da nessuna parte, ma discutere su quel che è successo è giusto e sacrosanto e mi piacerebbe lo facessimo in tanti, senza tirarci indietro. Una discussione franca e alla pari, senza il preconcetto che chi investe ha più legittimità degli altri, il perché poi non si sa. Si usa ormai in ogni contesto la parola sostenibilità, ma sfido chiunque a ritenere sostenibile ciò che abbiamo vissuto per parte di luglio ma soprattutto agosto. Credo che invasione sia la parola giusta da usare per ciò che è accaduto. Un invasione incontrollata, schizofrenica, anche maleducata. Insomma, a dir poco allucinante. Probabilmente, passata l’emergenza Covid-19, la ridistribuzione del turismo sarà diversa e tutto tornerà più normale, ma il periodo appena passato è stato un banco di prova su cui riflettere per il futuro. Come ne escono le Dolomiti? Secondo il mio parere, massacrate. File impressionanti su strade, impianti, sentieri ed infortuni a raffica, nella stragrande maggioranza dei casi dovuti a inadeguati approcci con la montagna. Una montagna pericolosa e affollata, da evitare, questo è il messaggio che ne è uscito. Soprattutto sui social, cassa di risonanza dal potere enorme, sono girate tante immagini e altrettanti commenti negativi da parte degli appassionati o da chi era in cerca della tranquillità, cioè il vero target dei nostri luoghi, insieme a proposte alternative molto più vivibili al di fuori delle Dolomiti. Per fortuna ci siamo almeno evitati, causa le restrizioni, le numerose manifestazioni motoristiche che negli ultimi anni hanno preso campo, ma il bilancio resta tristemente negativo anche se ci sarà chi, badando ai numeri e non alla prospettiva futura, la penserà diversamente. Se investiamo, come mi sembra si stia facendo, su questo turismo dei numeri ma senza cultura, la fine è a mio parere segnata. Tanti rifugisti ma anche albergatori, seppur vivano di turismo, lo hanno capito, levando le loro proteste. Spero davvero si rifletta su una dimensione futura che preservi un territorio unico e punti su chi la montagna la cerca per scelta, non per noia o per fare qualcosa. Bisogna cambiare mentalità se si vuole avere un futuro, rinunciando al tutto e subito. Sostenibilità deve essere una parola chiave, il mantra, non qualcosa da pronunciare falsamente senza crederci solo per farsi belli, avendo tutt’altro obbiettivo. A garantire un futuro alla montagna sarà la sostenibilità e la preservazione dei nostri luoghi, oltre ovviamente ad un attenzione maggiore da parte della politica e ad alla possibilità di decidere noi del nostro territorio. In un mondo caotico ed inquinato, appassionati e turisti “sensibili” ricercheranno sempre più la vera montagna, quella ormai scomparsa o che sta scomparendo. Il contatto con la natura, con il silenzio, con le cose semplici saranno un valore aggiunto. E’ su questo che secondo me dobbiamo puntare, su una tipologia di turismo che ci cercherà e si fidelizzerà se troverà l’ambiente ideale, non certamente sul turismo mordi, sfrutta, inquina e fuggi visto quest’anno. E certamente non su nuovi impianti di risalita che devasteranno il territorio, falsamente indicati come la soluzione di tutti i problemi che invece contribuiranno a creare. Amelia Blandfor Edwards, scrittrice ed esploratrice inglese del diciassettesimo secolo, scrisse un libro a testimonianza di un suo viaggio nelle Dolomiti a quel tempo praticamente sconosciute, intitolato “Cime inviolate e valli sconosciute”, pubblicato nel 1873. Nella prefazione, su cui vi invito a riflettere, si lamenta del caos nelle Alpi Occidentali, che erano invece già molto frequentate, tessendo le lodi delle nostre montagne. Scrive: “Si può inoltre aggiungere che nelle Dolomiti si sfugge all’affollamento dei turisti nei grandi alberghi e allo squallore dei pasti serviti negli Hotels: la vita nel Tirolo sud-orientale è cioè ancora libera dai disagi che, negli ultimi anni, hanno reso la Svizzera insopportabile“.