Giuseppe “Bepi” Zanfron – mancato nel febbraio di tre anni fa, all’età di 84 anni – era stato, fra l’altro – smessi momentaneamente i panni di “fotografo del Vajont” – il protagonista di una mostra fotografica con proiezione di diacolor” in terra elvetica. L’iniziativa, realizzata il 23 e 24 aprile del 1977, era stata della “Famiglia Bellunese del Mandrisiotto ed aveva goduto del patrocinio del Consolato italiano di Chiasso e della SAT, Società alpinistica ticinese. “Bepi”, presentato da un’altra bella figura rappresentativa di Belluno, l’ex provveditore agli studi dott. Mario Morales, all’epoca presidente del Circolo artistico provinciale bellunese, aveva proposto “Val Belluna e Dolomiti” nella sala dell’Oratorio di Santa Maria, ottenendo il previsto e meritato successo di critica e di pubblico. Apprezzata anche la partecipazione straordinaria del coro “Monti del Sole” (costituito nel 1971) diretto dal maestro Gianni D’Incà e presentato dal pubblicista Ivano Pocchiesa Cno, di Radiodolomiti Belluno. Esemplare Mario Morales nell’introduzione dove sottolineava, fra l’altro, di Zanfron: “Più che fermare la propria attenzione sulla vita attiva e spesso convulsa della nostra età,egli ha preferito cogliere gli aspetti più semplici e più veri di un mondo rustico e primitivo, eppur pregno di civiltà, sopravvissuto – non si sa come e fino a quando – alle ferite inferte dal cosiddetto progresso” . Ed aggiungeva: “La dolcezza della Val Belluna e del Feltrino, la maestà dolomitica dell’Ampezzano, del Cadore e dell’Agordino, la verde serenità del Comelico e di Sappada, l’armonia dell’assolata conca dell’Alpago e l’asprezza solenne dello Zoldano vengono fissate quasi a segnare un monito e un richiamo al frettoloso osservatore. Vengono rievocate le immagini di vecchie case rustiche, ancora intatte e non consunte dal tempo, retaggio di un’architettura pienamente conforme alla realtà naturale, nella quale era chiamata ad esprimersi”. La conclusione: “A tale realtà naturale fa da contorno un’umanità schietta e semplice: montanari saldi e asciutti, donne vestite a nero e con i capi coperti dai tipici fazzoletti o appesantiti da cesti di fieno, ultima testimonianza di un’antica e dura laboriosità. Sono foto tutte selezionate, scattate e costruire con amore. L’amore di un figlio che ha voluto – in unì’epoca così tormentata e così dimentica dei valori umani – esprimere un sentimento di devozione alla sua terra e alla sua gente”. Prima di proporre alcune delle immagini inserite nel catalogo edito per quella mostra, ricordiamo sinteticamente Giuseppe Zanfron del quale chi scrive è stato grande amico avendolo fra l’altro avuto come collaboratore sempre disponibile e soprattutto bravo, nella Redazione bellunese de Il Gazzettino dove ho vissuto larga parte della mia esperienza professionale di giornalista, divenendone il capo per oltre sette anni. Diplomato in fotografia all’Istituto tecnico industriale statale “Galileo Galilei” di Milano, il nostro debuttò come fotoreporter nel 1961 come corrispondente fotografico del Corriere della Sera. Da allora ha poi sempre dato le sue immagini a Il Gazzettino; nel 1962 è divenuto corrispondete per il nord-est d’Italia dell’agenzia Associated Press ricevendone due premi per reportage sugli attentanti in Alto Adige e per la catastrofe del Vajont del 9 ottobre 1963. Nel 1969 la Presidenza del consiglio gli aveva dato la qualifica di fotoreporter. Orgoglioso, Bepi, anche del riconoscimento ottenuto con la mostra fotografica “Terremoto in Friuli” di Castrocaro Terme, e per il premio assegnatogli da “Stampa medica” per il servizio reso alla stampa durante il terremoto del Friuli. A rendergli omaggio, alla scomparsa, fra i moltissimi altri, il presidente della giunta della Regione Veneto, Luca Zaia, il quale lo aveva definito “molto di più di un fotoreporter” sottolineandone sensibilità umana, amore per il suo lavoro e per la sua terra che hanno caratterizzato tutta la sua vita umana e professionale. Aggiungendo che “Per questo va ricordato come uno dei grandi bellunesi contemporanei, un poeta della cronaca e dell’immagine, le cui foto, belle ma soprattutto permeate di pathos e partecipazione umana, per decenni hanno raccontato la realtà meglio di tanti scritti, dalla tragedia del Vajont a tante altre vicende della vita dei monti e del loro territorio. Il che – per Zaia – “significa che dietro quella macchina fotografica c’era un genio dotato di una comunicativa straordinaria”. NELLE FOTO (riproduzioni dal catalogo della mostra del 1977 in Ticino e Google): la copertina della pubblicazione; Giuseppe “Bepi” Zanfron; con Tina Merlin la giornalista de L’Unità che per prima denunciò la situazione del Vajont con la costruzione della diga; Belluno; Valli di Bolzano Bellunese; primavera al Nevegal; Cortina; Il Pelmo; Pian di Coltura a Lentiai; Falcade, la Marmolada.