DI RENATO BONA
“Nel libro di Elda Deon Cardin “Il lavoro nelle Valli del Piave e del Vajont prima del 9 ottobre 1963” c’è anche il capitolo dedicato alle attività commerciali, ed è quello sul quale ci soffermiamo oggi, fra l’altro riportando un commento di Giovanni Larese che ha dato all’autrice il suo prezioso contributo regalando “Un po’ di luce sul tessuto economico longaronese prima del Vajont”. Ecco Larese:… Bene ha fatto Elda a non passare in rassegna soltanto le industrie locali ma a mettere anche in luce una fitta rete di attività artigiane e commerciali tipiche (penso agli scalpellini, ai teleferisti e agli zattieri) soffermandosi sul sistema ospitalità (notevole in quella terra di passaggio è sempre stata la presenza di osterie ed alberghi) ricordando altresì alcune persone caratteristiche della vecchia Longarone”. Inevitabilmente ma con grande piacere riproponiamo dunque l’immagine di gruppo (foto Bruto Recalchi, collezione Umberto Olivier) di Eloisa Bez “la Bèza” con i suoi figli: Oddone, Sofia, Dante ed Aldo, che a Codissago, per mezzo secolo, era sinonimo di osteria e tabacchi. Un autentico personaggio la longaronese, classe 1887, che a 29 anni si ritrovò vedova con quattro orfani, il maggiore di soli sei anni! dato che il marito, Umberto Olivier “Tofolón”, combattente della Grande Guerra, era caduto sull’Ortigara. Sempre secondo il racconto fornito da Umberto Olivier, “fu eroica nel duplice dovere di madre e di padre. Crebbe coraggiosamente i suoi figli. Li avviò allo studio… La tragedia familiare la costrinse in prima persona al ruolo di ‘ostessa’ (come testimonia il documento che proponiamo col quale dichiara per la Camera di commercio e industria di Belluno di “condurre in proprio l’esercizio per la vendita di vino, birra e liquori”. E aggiunge un’altra pagina di storia della “Bèza”: “… Alla fine la liberazione del 25 aprile 1945 è la liberazione dalla morte, dalle paure, dalle sofferenze insopportabili. E’ soprattutto la liberazione delle rinnovate energie che alimentano la voglia di vivere, di ricostruire. E i giovani che nelle sere di maggio sciamano verso la villa e i giardini di Malcolm cantando, sono il simbolo di questa vitalità ritrovata. Le fabbriche in loco si riattivano, la pur dura emigrazione ha i momenti consolanti nei ritorni a casa per le sagre agostane e per il Natale quando la ‘Bèza’, ottima cuoca, prepara la trippa in brodo per chi torna dal ‘matutìn’: la messa natalizia di mezzanotte, celebrata nella chiesa pievana di Castellavazzo”. Il tempo passa e la nostra fa spazio al figlio Dante pur se è sempre lei al mattino ad aprire l’osteria. Il 9 ottobre 1963 il Vajont la priva del figlio Aldo e della sua famiglia, del fratello Tita con figli e nipoti: Eloisa Bez è sempre indomita ed è lei a sostenere e incoraggiare tutti. Seppe giungere alla veneranda età di 92 anni “con curiosità e amore alla vita, alimentando relazioni personali ed epistolari, coltivando i fiori della sua terrazza cucinando eccellenti piatti per i nipoti che l’ascoltavano con venerazione”. Chiudiamo questo servizio offrendo a chi ci segue la visione di altre immagini: quella della via Roma di Longarone con, in fondo a destra, all’angolo, il laboratorio di gelateria di Arcangelo Scussel (foto P. Breveglieri, viaggiata 23 novembre 1915, collezione Elda Deon Cardin); quella che riproduce il documento comprovante l’esistenza dell’attività di Arcangelo Scussel a Longarone nel 1937; quella (anni ‘30, collezione Circolo fotografico Bruto Recalchi) che mostra un momento della Festa di Sant’Antonio al Colomber del 13 giugno con, a sinistra, Scussel col suo ‘caretìn’ dei gelati; quindi quella del “Caffè Minerva” rinomata pasticceria e gelateria con posto telefonico pubblico, gestita dal signor Caldera; sulla sinistra la saletta battezzata ‘la littorina’ per la felice sistemazione dei posti a sedere (foto anni ‘50, collezione Laura Nicola); e da ultimo quella che ci mostra il “Caffè Gonzaga” nell’omonima piazza (collezione Elda Deon Cardin). Il capitolo si conclude con la pagina che riporta l’elenco dei “Bar della vecchia Longarone” (17 oltre alla cantina di Piero Pòte, per la vendita di vino per esportazione in viale della Stazione, dove gli abituali avventori si spillavano l’“ombretta” direttamente dalla botte) e quella con l’elenco dei sedici “Bar dei vecchi borghi di Erto e Casso”.
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