Nei primi 3 mesi di quest’anno il numero complessivo delle imprese artigiane presente nel Veneto è sceso di 1.002 unità, un dato negativo, tuttavia in linea con quanto registrato nello stesso arco temporale dei 3 anni precedenti (vedi Tab.1). Il peggio, segnala la CGIA, dovrebbe purtroppo sopraggiungere nei prossimi mesi, quando l’effetto economico negativo del Covid si farà sentire con maggiore intensità.
Dichiara il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo:
“In questi due mesi e mezzo di lockdown, molti artigiani senza alcun sostegno al reddito sono andati in difficoltà e non sono stati pochi coloro che hanno ipotizzato di gettare la spugna e di chiudere definitivamente la saracinesca. Dopo una settimana dalla riapertura totale, invece, lo stato d’animo di tanti piccoli imprenditori è cambiato. C’è voglia di lottare, di resistere, di risollevare le sorti economiche della propria attività. Purtroppo, non tutti ce la faranno a sopravvivere e non è da escludere che entro la fine dell’anno lo stock complessivo delle imprese artigiane presente nel Veneto si riduca di quasi 10 mila unità, con una perdita di almeno 30 mila posti di lavoro”.
La crisi viene da lontano: negli ultimi 10 anni perse quasi 18 mila aziende artigiane
L’entità della contrazione dipenderà dalle misure di sostegno che verranno introdotte dal Governo nei prossimi 2-3 mesi. Tenendo conto che negli ultimi 10 anni lo stock delle imprese artigiane del Veneto è crollato di 17.755 unità, al 31 marzo 2020 le aziende artigiane attive nel nostro territorio ammontavano a poco più di 124.500 (vedi Tab. 2). Per evitare che entro la fine del 2020 si registri una ulteriore moria di tantissime botteghe artigiane, la CGIA torna a ribadire la necessità di erogare a queste attività importanti contributi a fondo perduto e di azzerare per l’anno in corso le imposte erariali: come l’Irpef, l’Ires e l’Imu sui capannoni.
Afferma il segretario della CGIA Renato Mason:
“L’artigianato ha bisogno di sostegno perché è l’ elemento di coesione sociale del nostro sistema produttivo. Se spariscono le micro imprese, rischiamo di abbassare notevolmente la qualità del nostro made in Italy. E’ vero che con il decreto Rilancio sono state introdotte diverse misure tra cui l’azzeramento del saldo e dell’acconto Irap in scadenza a giugno, la riproposizione dei 600 euro per il mese di aprile e la detrazione del 60 per cento degli affitti, ma tutto questo è ancora insufficiente a colmare la rovinosa caduta del fatturato registrata in questi ultimi mesi da tantissime piccole realtà. Troppi provvedimenti che rischiano di disperdere in tanti rivoli le risorse messe a disposizione che, invece, dovrebbero essere convogliate solo su tre voci: famiglie, indennizzi diretti alle imprese e taglio delle tasse”.
Dl Rilancio: i contributi a fondo perduto sono poca cosa
Anche i tanto attesi contributi a fondo perduto introdotti con il Dl Rilancio a favore delle piccole attività, rischiano di non sortire gli effetti sperati; la dimensione economica del ristoro, infatti, risulta molto contenuta. Le attività che hanno subito il lockdown, nella migliore delle ipotesi coprono solo 1/6 delle perdite sostenute nello scorso mese di aprile.
Le 4 simulazioni sono state realizzate su micro e piccole attività artigiane che nel mese di aprile 2020 sono state obbligate a chiudere l’attività per decreto:
- un parrucchiere con un fatturato medio annuo registrato nel 2019 di 70 mila euro e una perdita, aprile 2020 su aprile 2019, di oltre 5.833 euro, riceverà, stando alle disposizioni del “decreto Rilancio”, il 20 per cento di questo disavanzo. In pratica solo 1.167 euro;
- un falegname produttore di mobili con un fatturato annuo di 180 mila euro e una perdita ad aprile 2020 sullo stesso mese dell’anno scorso di 15 mila euro, riceverà, con questo passivo, 3.000 euro, cioè il 20 per cento dei mancati ricavi;
- una impresa edile con 450 mila euro di fatturato presenta una caduta del fatturato di 37.500 euro. Dalle disposizioni del “decreto Rilancio” riceverà 5.625 euro. Importo ottenuto applicando il 15 per cento sulla perdita;
- un’azienda metalmeccanica con ricavi annui di 500 mila euro e un disavanzo di 41.667 euro, incasserà dallo Stato 6.250 euro, pari al 15 per cento del disavanzo (vedi Tab. 3)
I consumi delle famiglie in calo di 7 miliardi
A preoccupare la CGIA, tuttavia, non c’è solo la mancanza di credito che attanaglia gli artigiani e in generale tutte le Pmi, ma anche le previsioni dei consumi delle famiglie venete per l’anno in corso. Secondo le previsioni la caduta sarà pari al 5/6 per cento; in termini assoluti il crollo degli acquisti rispetto al 2019 sarà di circa 7 miliardi di euro e a farne le spese saranno soprattutto gli artigiani, i piccoli commercianti e i lavoratori autonomi che vivono quasi esclusivamente dei consumi delle famiglie. Insomma, i fatturati di queste piccole attività sono destinati a cadere rovinosamente, trascinando verso la chiusura definitiva tantissimi negozi di vicinato. Tutto questo comporterà un problema occupazionale non di poco conto, ma anche un forte abbassamento della qualità della vita. Quando chiudono le botteghe e i piccoli negozi, le aree urbane si impoveriscono e diventano terreno fertile per la diffusione del degrado, dell’abbandono e della microcriminalità.
In Veneto tutte le province presentano un numero di iscrizioni all’Albo artigiani inferiore alle cessazioni
Come dicevamo più sopra, la crisi dell’artigianato parte da lontano. Tra il 2009 e il 2019, infatti, abbiamo perso il 12,4 per cento delle imprese venete di questo comparto (soprattutto edili, autotrasportatori e aziende meccaniche) e le regioni maggiormente colpite sono state quelle del Sud: Sardegna -19 per cento, Abruzzo – 18,8 per cento, Umbria – 16,2 per cento, Molise -16,1 e Sicilia – 15,9 per cento. Il Veneto ha registrato una contrazione del 12,4 per cento. (vedi Tab. 4).
Se, invece, analizziamo la nati-mortalità riferita al primo trimestre del 2020, Lombardia (-1.814 imprese), Emilia Romagna (-1.215), Piemonte (-1.068) e Veneto (-1.002) sono i territori che in termini assoluti hanno registrato il saldo più negativo.
A livello provinciale veneto, infine, sempre nel primo trimestre di quest’anno le situazioni più “pesanti” di contrazione dello stock si sono verificate a Vicenza (saldo pari a -274 aziende), Verona (-184) e Treviso (-166) (vedi Tab. 5).