Tra il 2023 e il 2027 il mercato del lavoro veneto richiederà 346 mila addetti: di cui 254.100 (pari al 73,4 per cento del totale) in sostituzione delle persone destinate ad andare in pensione e 92 mila nuovi ingressi (il 26,6 per cento del totale) legati alla crescita economica prevista in questo quinquennio. A legislazione vigente, pertanto, nei prossimi 5 anni il 12 per cento circa dei veneti lascerà definitivamente il posto di lavoro per aver raggiunto il limite di età. La stima è dell’Ufficio studi della CGIA che ha elaborato i dati del Sistema informativo Excelsior di Unioncamere e Anpal.
L’esodo interesserà soprattutto Molise, Piemonte, Abruzzo, Liguria e Basilicata
A livello regionale, nel prossimo quinquennio l’incidenza percentuale della domanda sostitutiva sul fabbisogno occupazionale totale interesserà, in particolare, il Molise (78,5 per cento), il Piemonte/Valle d’Aosta (82 per cento), l’Abruzzo (82,5 per cento) e la Liguria (85,5 per cento). La regione d’Italia più investita da questo fenomeno sarà la Basilicata (88,3 per cento).
I settori più interessati
Tra le regioni del Nordest, nel prossimo quinquennio l’incidenza più elevata di coloro che si recheranno in pensione sul totale del fabbisogno occupazionale si verificherà nel settore dell’agricoltura (96,9 per cento). Seguono l’industria (85,1 per cento) e i servizi (65,8 per cento). Nel comparto manifatturiero, ad esempio, a subire l’esodo verso la pensione più significativo sarà l’industria del mobile (98,9 per cento), quella della carta (98,2) e quella del tessile-abbigliamento (94,7 per cento). Al netto delle telecomunicazioni e dei servizi finanziari e assicurativi che nel Nordest avranno un’occupazione aggiuntiva addirittura negativa che farà schizzare all’insù l’incidenza – 500 per cento nel primo caso e del 104,3 per cento nel secondo – entro il 2027 nel comparto dei servizi i più investiti dall’esodo saranno il settore dei servizi generali della PA (93,3 per cento), il commercio (86,5 per cento) e l’istruzione e i servizi formativi (82,7 per cento). Insomma, nei prossimi anni i principali settori del nostro made in Italy rischiano di non poter più contare su una quota importante di maestranze di qualità e di elevata esperienza (vedi Tab. 2).
Perché si fatica a trovare personale
Il progressivo invecchiamento della popolazione veneta sta provocando un grosso problema al mondo produttivo. Da tempo, ormai, gli imprenditori denunciano la difficoltà di trovare sul mercato del lavoro personale altamente qualificato e/o figure professionali di basso profilo. Se per i primi le difficoltà di reperimento sono strutturali a causa del disallineamento che in alcuni territori si sono create tra la scuola e il mondo del lavoro, per le seconde, invece, sono opportunità di lavoro che spesso i nostri giovani, peraltro sempre meno numerosi, rifiutano di occupare e solo in parte vengono “coperti” dagli stranieri. Una situazione che nei prossimi anni è destinata a peggiorare: in primo luogo, come dicevamo, per gli effetti della denatalità e in secondo luogo per la cronica difficoltà che abbiamo a incrociare la domanda e l’offerta di lavoro.
Note metodologiche
La stima dei fabbisogni occupazionali a medio termine (2023-2027) è fornita dal Sistema Informativo Excelsior di Unioncamere e Anpal che utilizza un modello econometrico multisettoriale con un approccio analogo a quello seguito a livello europeo dal Cedefop. Il modello, che valorizza le informazioni acquisite periodicamente tramite le indagini Excelsior condotte presso le imprese italiane dell’industria e dei servizi, consente di prevedere l’evoluzione dell’occupazione dell’intera economia (dipendente e indipendente) per regioni, per settori (compresa la Pubblica Amministrazione) e di derivare il fabbisogno occupazionale complessivo, ossia derivante dalla sostituzione dei lavoratori (turnover dovuto dalla necessità di sostituzione dei lavoratori in uscita per pensionamento o mortalità) e dall’occupazione aggiuntiva richiesta dalle tendenze economiche (processo di crescita).
Le previsioni considerano l’intersezione di 3 megatrend (transizione digitale, transizione ambientale e transizione demografica, trasformazioni che influenzeranno profondamente la società sotto diversi aspetti e, soprattutto, la struttura occupazionale nel prossimo futuro) e 2 grandi shocks: 1) quello pandemico che ha causato perdite produttive e occupazionali rilevanti nel 2020 (progressivamente recuperate nel 2021 e a inizio 2022) avviando il processo di sostegno europeo e il PNRR che sarà nei prossimi anni tra i fattori determinanti per la crescita dell’economia e dell’occupazione; 2) l’esplosione del conflitto tra Russia e Ucraina.
I fabbisogni occupazionali (2023-2027) sono stati costruiti dal Sistema Informativo Excelsior di Unioncamere e Anpal secondo 2 scenari, uno più favorevole e uno meno. Le tabelle riportate in questa nota stampa della CGIA fanno riferimento allo scenario più favorevole che stima un fabbisogno occupazionale di 3,8 milioni di lavoratori nel periodo 2023-2027; questa stima che ha come riferimento il quadro programmatico del Governo contenuto nell’aggiornamento della NADEF (novembre 2022), e incorpora gli effetti sull’economia italiana di tutti gli interventi legati alle risorse del Piano Next Generation EU, nella sua formulazione concordata con la UE, include circa 9 miliardi di extragettito realizzato nel 2022 (frutto principalmente dell’effetto positivo dell’inflazione sul debito) e circa 21 miliardi di euro destinati nel 2023 alle misure di contrasto all’aumento dei costi energetici; questo scenario prevede una crescita economica dello 0,6% nel 2023 e dell’1,9% nel 2024, per poi stabilizzarsi all’1,3% negli anni successivi. Nello scenario avverso che prevede recessione tecnica nel 2023 (-0,2%) e una crescita negli anni successivi sensibilmente più contenuta (+1% nel 2024 e +0,5% nel triennio successivo), invece, le stime prevedono un fabbisogno occupazionale di 3,4 milioni di lavoratori nel periodo 2023-2027.