VENEZIA Sono 35mila i giovani veneti che l’anno scorso hanno abbandonato la scuola prematuramente (pari al 10,5 per cento della popolazione corrispondente)[1]. Ragazzi che nella stragrande maggioranza dei casi hanno deciso di lasciare definitivamente il percorso di studi dopo aver conseguito solo la licenza media. Un problema, quello degli descolarizzati, che in Veneto ha una dimensione tutto sommato abbastanza contenuta: più bassa di oltre 2,5 punti della media nazionale e negli ultimi 10 anni, inoltre, è diminuita di 5 punti percentuali. Tra le principali regioni settentrionali del Paese, solo il Friuli Venezia Giulia (8,5 per cento) e l’Emilia Romagna (9,3 per cento) presentano una percentuale media del tasso di abbandono scolastico inferiore alla nostra. Tuttavia, continuiamo a sottovalutarne la portata negativa che, assieme alla denatalità, sta contribuendo a mettere in difficoltà tantissime aziende del nostro territorio. A dirlo è l’Ufficio studi della CGIA.
Le Pmi venete non trovano tecnici specializzati
Nonostante le crisi aziendali riferite all’Acc di Mel, all’Abb di Marostica e alle difficoltà patite dai distretti del calzaturiero del Brenta e dell’occhialeria del bellunese, con i primi segnali di ripresa economica avvertiti in questi ultimi mesi, molte Pmi venete sono tornate a denunciare la difficoltà di reperire figure professionali con elevati livelli di specializzazione. Una problematica che è ascrivibile alla difficoltà di far incrociare la domanda con l’offerta di lavoro, anche perché continua a rimanere del tutto insufficiente il livello di conoscenza e di competenze tecniche dei nostri giovani. E nei prossimi anni, con l’avvento della cosiddetta “rivoluzione digitale”, queste criticità rischiano di assumere dimensioni ancor più preoccupanti.
L’abbandono scolastico in Veneto è comunque sei volte superiore al numero dei “cervelli in fuga”
La dispersione scolastica in Veneto è sei volte superiore ai cosiddetti “cervelli in fuga”. Nel 2020, ricordiamo, sono stati 35mila gli studenti che hanno abbandonato prematuramente la scuola. Ancorchè contenuto, è un numero molto elevato rispetto ai 5.896 veneti con un titolo di studio medio-alto che, invece, si sono trasferiti all’estero per ragioni di lavoro. Due problematiche estremamente delicate che, purtroppo, continuano ad avere livelli di attenzione molto diversi da parte dell’opinione pubblica. Se l’abbandono scolastico non è ancora avvertito come una piaga educativa con un costo sociale importante, la “fuga” all’estero di tanti giovani diplomati o laureati lo è, sebbene il numero della prima criticità sia molto superiore a quello della seconda.
Povertà educativa uguale povertà economica. Straordinario il lavoro inclusivo fatto dagli IeFP
Con un basso numero di diplomati e laureati corriamo il pericolo di un impoverimento generale del sistema Paese e, in misura ugualmente preoccupante, di una marginalizzazione di molte persone che difficilmente potranno essere integrate attivamente nella nostra società. Tutti gli esperti, infatti, sono concordi nel ritenere che la povertà educativa e la povertà economica vanno di pari passo. Le cause che determinano la “fuga” dai banchi di scuola sono principalmente culturali, sociali ed economiche: i ragazzi che provengono da ambienti socialmente svantaggiati e da famiglie con un basso livello di istruzione hanno maggiori probabilità di abbandonare la scuola prima di aver completato il percorso di studi che li porta a conseguire almeno il diploma di maturità. Va altresì segnalato che, talvolta, l’abbandono scolastico può essere causato da una insoddisfazione per l’offerta formativa disponibile. In questo senso va sottolineato lo straordinario lavoro inclusivo svolto dagli istituti di Istruzione e Formazione Professionale (IeFP)[2]. Queste realtà sono diventate un punto di riferimento per gli allievi di nazionalità straniera, per quelli con disabilità e per gli studenti che sono reduci da insuccessi scolastici precedenti. Scuole che spesso operano in aree caratterizzate da un forte degrado urbano e sociale che, grazie anche allo straordinario lavoro “antidispersivo” svolto, andrebbero sostenute con maggiori risorse di quante ne sono state messe a disposizione fino a ora.
Al Sud la situazione più difficile
A livello territoriale italiano sono le regioni del Sud a registrare i livelli più elevati di dispersione scolastica. Nel 2020, ad esempio, in Sicilia il 19,4 3 per cento dei giovani ha lasciato la scuola prima del conseguimento del titolo di studio (diploma professionale, diploma di maturità, etc.). Seguono la Campania con il 17,3 per cento e la Calabria con il 16,6 per cento. Preoccupa la situazione di quest’ultima regione che rispetto a tutte le altre è l’unica in controtendenza rispetto al dato relativo al 2010: l’abbandono scolastico in questi ultimi 10 anni, infatti, è aumentato di 0,6 punti percentuali. Abruzzo (8 per cento), Friuli Venezia Giulia (8,5 per cento), Molise (8,6 per cento) e Emilia Romagna (9,3 per cento) sono le regioni più virtuose. Nel complesso è il Nordest l’area che soffre meno di questo fenomeno sia per l’incidenza percentuale di abbandono (9,9 per cento) che per il più basso numero in termini assoluti di “uscite” premature dal mondo della scuola (-77 mila).
[1] Ci riferiamo a persone tra i 18-24 anni con al più il diploma di scuola secondaria di primo grado (licenza media) che hanno abbandonato gli studi, che non sono in possesso di qualifiche professionali regionali ottenute in corsi di durata di almeno 2 anni e che non frequentano corsi scolastici né svolgono attività formativa.
[2] Dr.ssa Raffaella Cascioli, Audizione Istat presso l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza. Roma, 18 giugno 2021
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