Sebbene la congiuntura non sia delle migliori e gli effetti economici del coronavirus siano ancora difficilmente quantificabili, molti imprenditori del Veneto continuano a trovare tante difficoltà nel reperire personale, soprattutto qualificato.
Dall’elaborazione effettuata dall’Ufficio studi della CGIA – sui risultati emersi dall’indagine condotta sulle entrate programmate nella nostra regione dalle aziende a gennaio 2020 dall’Unioncamere-ANPAL, Sistema informativo Excelsior – risulta che su 45.900 assunzioni previste in Veneto il 38,8 per cento sia di difficile reperimento a causa dell’impreparazione dei candidati (14,9 per cento) o, addirittura, per la mancanza degli stessi (20,2 per cento).
“L’offerta di lavoro si sta polarizzando – afferma il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo – da un lato gli imprenditori cercano sempre più personale altamente qualificato, dall’altro figure caratterizzate da bassi livelli di competenze e specializzazione. Se per i primi le difficoltà di reperimento sono strutturali a causa anche dello scollamento che in alcune aree del Paese si è creato tra la scuola e il mondo del lavoro, i secondi, invece, sono profili che spesso i nostri giovani rifiutano e solo in parte vengono coperti dagli stranieri”.
A livello provinciale la situazione più critica si registra a Vicenza. A fronte di 9.140 assunzioni programmate, il personale di difficile reperimento incide per il 44,6 per cento di cui il 24,3 per cento a causa della mancanza dei candidati e un altro 16,5 per cento per la poca preparazione. La provincia Berica si colloca al 3° posto a livello nazionale per il difficile reperimento. A Treviso, dove i neo assunti hanno toccato le 8.540 unità, l’incidenza della difficoltà di trovare le persone con i profili richiesti dagli imprenditori è del 42,3 per cento, a Padova, con 8.270 nuovi ingressi, il 39,4, a Rovigo, che dovrebbe aver offerto 1.520 nuovi occupati, il 38,2, a Venezia, con 7.220 nuove opportunità di lavoro, il 34,4. Subito sotto troviamo Verona (con il 34,1 per cento) e, in coda alla graduatoria regionale, Belluno (con il 32,2 per cento).
Le figure professionali maggiormente richieste in Veneto che la domanda non riesce a soddisfare sono gli assistenti sociali/badanti, gli operai specializzati nel metalmeccanico (saldatori, fresatori, lattonieri, montatori di carpenteria metallica, fonditori, fabbri ferrai, etc.) e nel tessile-abbigliamento e calzature (stilisti, modellisti, tagliatori, tessitori e confezionisti).
“Quest’anno afferma il Segretario Renato Mason – sul fronte del mercato lavoro si profila una crescita dell’occupazione nel Veneto dello 0,5 per cento, anche se in riduzione rispetto all’1,1 registrato l’anno scorso. Si rischia, pertanto, di interrompere un trend particolarmente favorevole, soprattutto per i giovani che, secondo i dati Istat relativi al 2019, hanno registrato una flessione significativa del tasso di disoccupazione, raggiunto grazie alla buona performance dell’apprendistato che costituisce ancora adesso il contratto più utilizzato per consentire agli under 25 di entrare nel mercato del lavoro”.
Più in generale, comunque, il nostro mercato del lavoro presenta un grande paradosso che non è riscontrabile tra i nostri principali competitors presenti in Europa. Pur avendo un numero di diplomati e di laureati tra i più bassi di tutti i paesi UE, gli occupati sovraistruiti presenti in Italia sono poco meno di 6 milioni, il 24,2 per cento degli occupati totali e il 35 per cento degli occupati diplomati e laureati. Negli ultimi anni questo fenomeno è aumentato per 2 ordini di motivi:
pur di lavorare molte persone hanno accettato una occupazione meno qualificata del titolo di studio conseguito;
“mismatch” (disallineamento) esistente tra le competenze richieste e quelle possedute.
Questa specificità provoca un forte disinteresse e una scarsa motivazione per il proprio lavoro che ha delle ricadute molto negative sulla produttività del sistema economico. Un risultato che è anche ascrivibile al fatto che in Italia, pur avendo pochi laureati, la maggioranza lo è in materie umanistiche o sociali difficilmente spendibili nel mercato del lavoro, mentre abbiamo un numero insufficiente di laureati in materie scientifiche (matematica, fisica, chimica, etc.) che, invece, sono ricercatissimi, soprattutto dalle nostre medie e grandi imprese.